Costruire futuri ricordi
Due adolescenti fronteggiano la morte, prima separatamente e poi insieme, Enoch guardandosi vivere e morire -tracciando la sua sagoma, visitando funerali di estranei-, Annabel accontentandosi del tempo che le resta, con la leggerezza propria dei volatili che ama studiare e disegnare. Il coraggioso intento è raccontare la morte nell’età in cui più ci si apre alla vita, e L’amore che resta ci riesce, senza pietismi ricattatori.
Van Sant sta addosso ai bei volti e ai bei corpi dei protagonisti, indulge forse troppo sull’abbigliamento e sulle pose rétro, che si giustificano solo se si riconduce tutto al continuo gioco dell’impersonare. Entrambi i protagonisti infatti amano travestirsi (Enoch e la sua maschera dandy) e parlarsi “tramite terzi” (la tomba dei genitori, Hiroshi invisibile a Annie, in una delle scene più toccanti), come a costruire consapevolmente la narrazione della loro storia d’amore a tempo determinato. Per questo l’esplicitazione del mascheramento nella sequenza di Halloween risulta un po’ gratuita, e l’inimicizia dei vendicativi bulli di scuola appare meramente funzionale alla trama, all’esplorazione notturna del bosco. Al contrario, nella messa in scena della finta morte si congiungono efficacemente il climax drammatico del film e l’apice della narrazione privata di Enoch e Annie: da “divergenze di sceneggiatura” esplode lo scontro sui diversi modi di esperire il morire, che svela il più che fondato dolore che la loro scelta comporta. E’ il momento in cui avviene il passaggio dalla consapevolezza esistente, ma vaga, della finitezza del loro amore, all’emergere della concretezza della morte.
Van Sant si conferma talentuoso inventore di immagini e atmosfere, ripescando tra motivi a lui cari (la natura, i treni, i vagabondaggi) e creando personaggi più simili ai romantici outsiders di Belli e dannati che ai ragazzini di Elephant o Paranoid Park. C’è da aggiungere che, se è sempre quantomeno rischiosa la presenza di fantasmi in un film, il kamikaze Hiroshi, talmente materico da mandare all’ospedale l’amico vivo, riesce miracolosamente a svolgere la doppia funzione di protettore (inascoltato) un po’ invidioso e di paradossale promemoria alle possibilità della vita vera che lui si è negato.
Il percorso di Enoch, ragionevolmente tormentato ma anche capace di afferrare la vita quando gli si presenta, rende L’amore che resta un film dolcemente ottimista, nonostante la morte attesa arrivi, nonostante Enoch si ritrovi di nuovo solo, ma con un bagaglio privato di ricordi a riempire quel vuoto di non-morte che lo divorava.