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This Must Be the Place

lunedì 17 Ottobre, 2011 | di Nicole Braida
This Must Be the Place
Speciale
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Voto autore:

Spensieratezza
Sean Penn si è trasformato seguendo lo stile dei leader dei Cure nel protagonista del nuovo film di Paolo Sorrentino, che ritrae il risveglio tardivo di una rockstar.

Il titolo, tratto da un brano dei Talking Heads, è il leit motiv del film, che come nei lavori precedenti di Sorrentino, lascia alla colonna sonora un importante ruolo, la composizione di questa infatti è stata assegnata a David Byrne, che compare anche nello stesso film nel ruolo di se stesso. Ma è Sean Penn alias “Cheyenne” la star, un ex frontman di una rock band anni ’80, che a quell’epoca è rimasto relegato: matita nera, rossetto e capelli arruffati. Si trascina lentomediacritica_this_must_be_the_place_290 e impacciato tra le stradine di Dublino, trascinando un carretto per la spesa, tra le memorie di un tempo di riscatto sociale e i fasti di una modernità conformista e consumista che occultano l’identità del paesaggio urbano. Cheyenne vive in una reggia asettica, inamidata, etichettata persino nei suoi ambienti; la moglie (interpretata da Frances McDormand) che di mestiere fa il pompiere, è un personaggio carico di mascolinità al contrario del marito, che invece sembra un essere passivo e senza vitalità. La vita di Cheyenne è scandita dal rapporto con una giovane amica, che apprezza la sua musica e si trucca e veste come lui, e con la quale perde il tempo, allo stesso modo di un ragazzino. Ma l’imminente morte del padre lo costringe a prendere una nave verso gli Stati Uniti, ma quando arriva a New York è troppo tardi e ciò che gli rimane sono alcune parole scritte su un diario. Scopre che il padre ha speso buona parte della sua vita alla ricerca di un ex capo nazista, che l’aveva umiliato mentre era in un campo di concentramento. Ed è qui che inizia l’on the road, un lungo viaggio tra Michigan e New Mexico, in territori sconosciuti e distanti dalla realtà, dove Cheyenne attuerà la sua trasformazione, finalmente in uomo adulto, trascinandosi ancora dietro un trolley di indumenti datati. This Must Be the Place, nonostante parli di rock star, appare un film piuttosto autobiografico: il rapporto con il padre irrisolto (Sorrentino ha perso i genitori in un incidente a 25 anni), l’essere “artista”, il legame con il passato, una visione delle donne piuttosto infantile. Sean-Cheyenne dice “passiamo troppo in fretta dall’età in cui si dice un giorno farò così a quella in cui si dice è andata così”, cercando di riflettere su se stesso. È una rockstar sopravvalutata, incapace di comprendere le ragioni del suo successo perché sa di essere ancora un essere immaturo che non ha mai rischiato nella vita. Ma il viaggio attraverso strampalati ed inquietanti personaggi di un’America sconosciuta, fino al luogo dimenticato dove vive il carnefice del padre, vecchissimo e innocuo quanto un profeta biblico, provocheranno un cambio di prospettiva. La regia di Sorrentino ci prende in giro come la comicità assurda di Cheyenne, con continui movimenti di macchina, dolly che accerchiano, che sorvolano, che aggirano. Le architetture sembrano scomposte, poco lineari, in contrasto continuo. Le immagini ci rivelano delle verità che poi altre ritrattano, ma rimane “qualcosa – che ripetendo le parole di Cheyenne – mi ha disturbato, non so cosa esattamente, ma mi ha disturbato”. Forse è l’idea del passato, di chi vi rimane legato perché non sa vivere il proprio presente, o forse è l’idea del futuro che se n’è andato e non ci rimane altro che rischiare per una volta e vivere questo presente, ovunque sia. I guess that this must be the place.

This Must Be the Place [id., Italia/Francia/Irlanda 2011] REGIA Paolo Sorrentino.
CAST Sean Penn, Frances McDormand, Judd Hirsch, Simon Delaney, Eve Hewson, Shea Whigham.
SCENEGGIATURA Paolo Sorrentino, Umberto Contarello. FOTOGRAFIA Luca Bigazzi. MUSICHE David Byrne, Will Oldham.
Drammatico, durata 118 minuti.

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