2011: Apocalypse Now
Due capitoli dedicati a due sorelle, Justine e Claire, molto diverse; due pianeti, Melancholia e la Terra in rotta di collisione; due modi di affrontare l’imminente Fine del Mondo, unico ed ultimo punto di contatto che accomuna queste dicotomie.
Un destino ineluttabile, come apprendiamo in un incipit dalla straordinaria potenza visiva ed evocativa che in pochi minuti riassume e anticipa l’intero film.
La depressione che in Antichrist era martirio e strazio delle carni diventa in Melancholia dolente attesa dell’Apocalisse mentre la Natura che nel primo film di questo dittico nichilista era maligna e putrescente diventa rigogliosa, al tempo stesso reattiva e impotente di fronte alla propria distruzione. Chi come Justine soffre di quel male di vivere che rende faticosi e impossibili semplici gesti come salire su di un taxi e rituali amati come il bagno caldo, vive con stoica rassegnazione e serena liberazione la Fine del Mondo e del genere umano, consapevole che tanto la Terra è solo un luogo cattivo e corrotto, nessuno soffrirà della sua scomparsa dal momento che siamo soli nell’Universo. Justine è attratta e affascinata da quel enorme pianeta azzurro che si sta inesorabilmente avvicinando a noi. Ne è incuriosita fin dal primo momento quando ancora è rosso, lontano e viene erroneamente confuso con Antares, stella della costellazione dello Scorpione. Melancholia e Justine sono accomunati dalla stessa dirompente carica (auto)distruttiva, la stessa che l’aveva spinta, apparentemente senza ragione (ma chi ha sofferto e soffre del male oscuro sa di cosa si sta parlando), ad annientare la propria vita nel giro di poche ore, dal lavoro al matrimonio appena celebrato con una festa sfarzosa e pacchiana. Nel cuore della notte Justine fa l’amore idealmente con Melancholia ed è lei a traghettare come Caronte verso la morte i propri cari tenendoli per mano, compresa Claire, quella sorella così lontana da lei, generosa, altruista, che da sempre cerca di tenere insieme i membri di una famiglia sgangherata, vittime di nevrosi ed egoismi. Uno sforzo vano, così come vana è la sua disperata ricerca di un rifugio, di una salvezza e se proprio non si può evitare la morte, che almeno lo si faccia bene, come si deve, tutti insieme.
Ancora una volta von Trier spiazza, sorprende, affascina, incanta con la capacità estetico/visiva di un pittore e l’afflato struggente di un poeta. Inutile e sbagliato cercare di “combatterlo”, respingerlo, detestarlo, inevitabile e preferibile lasciare che Melancholia assorba parte della nostra atmosfera lasciandoci senza fiato, ci calamiti nella sua orbita magnetica e distruttiva, mentre danziamo sulle note del Tristano e Isotta di Wagner verso la Fine.