Dietro le quinte
George Clooney sceglie, come noto, di ambientare la sua cinica, sconsolata e pessimista ricognizione sul mondo della politica statunitense in campo amico, tra le fila del partito democratico a cui il divo, noto liberal, è collegato; tra le fila del partito un fuoco incrociato di tradimenti, vendette, segreti, arrivismi e ricatti non risparmia nessuno, stabilendo un confine tra bene e male molto labile.
Quest’ultimo punto, la convivenza tra “giusto” e “sbagliato” e il loro legame che appare inestricabile, è il motivo per cui il film non cade nel pamphlet qualunquista, o nella presa di posizione manichea che vede onesti e farabutti come due mondi lontani e contrastanti. Ad un certo punto il protagonista, dipinto da molti commentatori come giovane idealista poi reso cinico ma in realtà fin dall’inizio con la morale se non nera di certo non del tutto trasparente, al momento di ricattare il senatore afferma: “Così possiamo fare quello che abbiamo sempre sognato”. Frase significativa che nasconde l’inquietante significato secondo il quale in democrazia, se si vuole ottenere qualcosa di buono, è necessario giocare nel torbido e sporcarsi le mani. È questa la sconsolata considerazione che è alla base del film: se si vuole vincere, e perciò ottenere quello a cui credi, bisogna scendere a patti con il potente senatore maneggione, sottostare ai ricatti e ricattare a tua volta, distruggere la carriera di chi stimi o di chi è stato il tuo maestro. È a questa legge non possono sfuggire né la giovane promessa, “l’eroe” protagonista, né il governatore candidato alle primarie a cui sono affidati i sogni di riscossa dei democratici e dell’America in attesa di ripartire. E sarà una legge che governerà la politica anche nel futuro, come ci avverte l’impietoso primo piano sul quale il film si chiude.
Tutto questo avviene dietro le quinte, non solo in senso metaforico, visto che numerose scene e dialoghi chiave avvengono dietro il palco dove si tiene il comizio, nei retroscena di uno studio televisivo o nelle cucine di un ristorante chiuso; come a dire che lo sporco è nascosto agli occhi dei militanti, è dietro la telecamera, ma è onnipresente a tirare le fila, e, coperti dallo sfondo di un teatro riempito da una gigante bandiera americana (che noi significativamente vediamo capovolta e “macchiata” dall’ombra del giovane), mentre il leader parla, si cercano cinici compromessi e si organizzano subdole manovre.
Clooney gestisce tutto questo dimostrando consapevolezza stilistica e talento anche dietro la macchina da presa: un cinema robusto e classico ma aggiornato alle esigenze e allo spirito dei tempi, che gioca con il già detto e visto aggiungendo sfumature che rendono l’opera attuale. L’ottimo uso dell’illuminazione a livello metaforico e il gioco dei primi piani sono le firme registiche più evidenti in un film che molto si basa sui dialoghi e sulle prove degli interpreti: ottimi sia Ryan Gosling che Clooney, ma il vincitore è Philip Seymour Hoffman nella parte del capo dello staff del governatore.