Sky Classics, sabato 18 febbraio 2012, ore 23.20
Elogio dell’imperfezione
Non è stato facile, per Miloš Forman, dare alla luce il proprio Amadeus. “Nessuno voleva produrre un film in costume su di un compositore”, ha ammesso in un’intervista di qualche anno fa. Ma alla fine il film si è fatto, ha vinto otto statuette agli Oscar ed è a tutt’oggi un capolavoro.
Tratto dall’omonima opera teatrale di Peter Shaffer, ispirata a sua volta al Mozart e Salieri di Puskin, Amadeus non è affatto un film su Mozart – e tantomeno su Antonio Salieri – quanto una riflessione accorata sulla libertà, che strappa l’arte alle carceri del bello per spalancarle i cancelli del sublime. Nel sublime del giovane Wolfgang, “enfant terrible” non meno che “prodige”, annaspa un Salieri meschino e invidioso, corroso dal livore e adirato con Dio perchè alla sua vita di devote rinunce ha preferito un “immorale e irritante marmocchio”. Si tratta, certo, di una dicotomia – quella tra il conformismo ipocrita e l’anarchia vitale – più volte al centro del cinema di Forman, tanto incisiva nel suo capolavoro, Qualcuno volò sul il nido del cuculo (1975) quanto emblematica nel successivo Valmont (1989). Perversione innocente e squisita doppiezza, infantilismo ludico e consumato cinismo sono le due facce della natura umana che incantano da sempre il regista ceco. Facce simmetriche e complementari che trovano in Amadeus l’illusione fugace di una fusione, nella composizione del Requiem finale dettato dallo stesso Mozart a colui che ne è, ad un tempo, il committente e l’aguzzino, ma anche il solo in grado di comprenderne l’inarrivabile grandezza. Come Madame De Tourvel con l’incostante Valmont, Salieri è l’unico ad indovinare l’intima angoscia dell’antagonista e di questa si avvale per il suo annientamento. Ma la vendetta tanto anelata non può che risolversi in atroce sconfitta poiché, senza l’oggetto della propria ossessione, colui che invidia non è più nulla. Non c’è condanna nella sceneggiatura di Shaffer, nè scissione manichea. Il Salieri di F. Murray Abraham è patetico e folle quanto il Mozart di Tom Hulce è sciocco e puerile. Eppure il primo ripercorre gli eventi con paradossale lucidità mentre il secondo, insensato e volgare, finisce inspiegabilmente col risultare amabile, nonostante la candida stoltezza, o forse persino in virtù di questa. Forman li dirige in atteggiamenti opposti, dalla rigida compostezza del protocollo di corte alle corse sguaiate che, nel suo cinema, sono l’emblema della spontaneità. Li avvolgono splendidi quadri magniloquenti, dall’ipertrofia barocca degli interni alla pietra nuda di portici e selciati, gli uni e gli altri illuminati di sola luce naturale, in una tragica progressione che da radiosa e brillante si fa fioca e funerea. I costumi di Theodor Pistek restituiscono gli sfarzi della corte viennese e le sue incantevoli contraddizioni tra audaci scollature e ingombranti paniers, marsine ricamate e impossibili parrucche. Ma è la musica la vera protagonista, quella di Mozart naturalmente, che introduce e confessa ogni moto dell’animo, alimentandolo e amplificandolo fino allo struggente Lacrimosa finale. E’ l’omaggio dell’autore alla potenza dell’arte più autentica, quella che ignora i limiti e scavalca le censure perché, come ha detto una volta,“i politici fanno la storia ma la cultura, di questa storia, fa la qualità”.
Amadeus [Id., USA 1984] REGIA Milos Forman.
CAST F. Murray Abraham, Tom Hulce, Elizabeth Berridge, Simon Callow.
SCENEGGIATURA Peter Shaffer. FOTOGRAFIA Miroslav Ondricek. COSTUMI Theodor Pistek.
Biografico/Drammatico, durata 160 minuti.