Memoria corta
Quelle del titolo sono le parole che la vedova Schifani pronuncia durante i funerali del marito, degli altri due uomini della scorta – Antonio Montinaro e Rocco Dicillo – del magistrato Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo.
Si rivolge agli uomini della mafia che sicuramente sono in quella chiesa, concedendogli il suo perdono, ma loro si devono mettere in ginocchio.
Questo vuole raccontare il regista Claudio Bonivento, nella prima fiction realizzata da La7, non vuole descrivere il percorso del giudice Falcone (che nessuno dimenticherà) ma la vita di quei tre uomini della scorta che saltarono in aria insieme a lui, i tre poliziotti che dovevano proteggerlo, ma che furono davanti a un attentato di tali proporzioni. Il regista racconta le loro vite attraverso le persone che sono rimaste a piangerli, li racconta con le voci delle vedove, dei figli e dei genitori che ancora aspettano il ritorno del proprio figlio dal lavoro, con la tavola apparecchiata.
Bonivento si basa sul libro di Rosaria Costa (vedova Schifani rimasta sola a 22 anni e con un figlio di quattro mesi) e Felice Cavallaro per raccontare la storia parallela e orbitante dei tre giovani, che insieme ai magistrati Falcone e Morvillo, sono diventati inconsapevoli protagonisti di un pezzo di storia italiana, quella storia fatta di sotterfugi, sangue e morti eccellenti.
Il film è stato realizzato per commemorare i vent’anni dalla strage di Capaci, e – mai come in questi giorni – salta agli occhi l’attualità di questi fatti.
C’è qualche difetto stilistico, qualche accenno di retorica in più come la scelta di non utilizzare i documenti reali, ma di trasformare in fiction anche il momento dei funerali, ma il tutto passa in secondo piano; in primo piano rimane il bisogno di raccontare la nostra storia. Perché purtroppo abbiamo sempre la memoria troppo corta.