INEDITO – USA 2010
Non servono parole
Due fratelli e una madre malata, tre personaggi in cerca di un osservatore. Occorre arrestare il passo e accettare i compromessi di questa storia, che è un viaggio, che è una porzione di vita vissuta intensamente.
Nessuna parola per i primi quindici minuti, solo sigarette accese, respiri profondi, passi tra l’erba alta, spari: la caccia è un’azione silenziosa, necessita pazienza per procacciarsi cibo. Questa è la metafora quanto mai tangibile per descrivere il rapporto di tacito accordo tra due uomini, inevitabilmente diversi l’uno dall’altro, che si prendono cura della loro donna stanca, preparandole da mangiare, sedendo insieme a cena, facendosi tagliare i capelli. I gesti costruiscono un legame profondo, spezzato dall’infallibilità del destino che si prende la madre e lascia i figli soli a definire il da farsi. Si decide per non considerare la canonica opzione funerale-cimitero, trasportando la bara lungo il percorso già stabilito del tortuoso Mississippi per poterla poi seppellire nel lontano luogo prestabilito dalla defunta. Ecco la silenziosa immersione nella natura più selvaggia, abbracciandola, sottomettendosi, sopravvivendo ad essa, un treno che passa ma non si fa vedere, una televisione che ronza fastidiosa ed estranea nella boscosa Louisiana. La regia di Alistair Banks Griffin irrompe in tutto questo, portando con sé gesti sviscerati, protratti, insistiti, inquadrature fisse che si lasciano attraversare per poi svuotarsi coinvolgendo totalmente e solo l’udito. È un’opera prima di quelle difficili, proposta senza mezzi termini, ostinata nel voler imporre la propria presenza. Come logica conseguenza, due le alternative che saltano alla mente: amore o odio, entrambi nella loro forma più profonda e violenta. Occorre ripeterlo: l’opera risulta ambigua, faticosa, al limite dell’incomprensibile, non tanto nel trovare il bandolo della scarna narrazione, quanto per decifrare il sentimento che ne consegue. La visione progredisce e le sensazioni mutano, dall’iniziale curiosità, arrivando all’irritabilità centrale, lasciandosi poi avvolgere dal racconto, fino al momento in cui questo abbandona quel poco di coerenza a fatica conquistato. Se si vuol parlare per significati scovati pian piano nella costruzione dell’immagine, il pericolo più grande è il risultare ermetici. Si leva il cappello di fronte al poetico lavoro fatto dalla fotografia, ammirando poi una regia attenta, la quale ha curato anche il soggetto complesso e molto interessante: quanto piacere scaturisce nel momento in cui lo spettatore instaura un rapporto intimo e speciale con i due fratelli, comprendendo le differenti personalità, immedesimandosi nel loro sforzo sia fisico che mentale. Il tutto finisce per sgretolarsi quando l’ostinato voler arricchire la percezione di significati ulteriori non fa che saturarlo, portandolo all’inevitabile esaurimento.
Two Gates of Sleep [Id., USA 2010], REGIA Alistair Banks Griffin.
CAST Brady Corbet, David Call, Karen Young.
SCENEGGIATURA A. Banks Griffin. FOTOGRAFIA Jody Lee Lipes. MUSICHE Danny Bensi, Saunder Jurriaans.
Drammatico, durata 78 minuti.