51. Viennale – Vienna International Film Festival, dal 24 ottobre al 6 novembre 2013, Vienna
Una separazione, atto secondo
Come fosse la prosecuzione di un ragionamento dal quale non ci si riesce più a staccare e a cui la mente ritorna ciclicamente, il regista iraniano Asghar Farhadi ricomincia da dove aveva finito. Ovvero da una coppia in frantumi, che decide di divorziare e dividersi definitivamente.
Lo fa con tale naturalezza da trarci in inganno nel momento stesso in cui il protagonista entra in scena, con i suoi connotati fisici simili (di più, identici) a quelli del personaggio principale di Una separazione. Ma Ahmad non è Nader, e la vicenda che stiamo per seguire ribalta il punto di vista di partenza: dalla particolarità della situazione socio-culturale iraniana che si riflette nell’universalità umana si passa al macrocosmo di una quotidianità comune che assume caratteristiche uniche e complesse. Se in Una separazione l’ambientazione – Teheran – era essenziale per comprendere determinati processi di causa-effetto, con Il passato lo sfondo è incolore. Perché siamo a Parigi, ma potremmo essere in una qualunque periferia del mondo. Con l’approccio verosimile e apparentemente “accidentale” cui ormai siamo avvezzi fin dai tempi di About Elly, Farhadi muove le proprie pedine gettandole nel caos/caso dell’esistenza, cariche di esperienze passate e turbate dall’imprevedibilità del futuro. Ahmad torna per espletare una formalità: il divorzio dalla moglie Marie, che non vede da quattro anni. Una firma, per poter iniziare una nuova vita. Ma il passato “è una terra straniera” da cui è impossibile congedarsi: Marie ha due figlie nate da un legame precedente e il rapporto con la più grande, Lucie, è del tutto incrinato; Samir, nuovo compagno di Marie, si imbarca nella nuova relazione mentre la moglie è in coma per un tentato suicidio; lo stesso Ahmad, che pur accetta placidamente il ruolo di mediatore, porta sulle proprie spalle dolenti e incancellabili ricordi. Il passato non ci parla di destino, ma di libero arbitrio: ogni azione ha delle conseguenze capaci di condizionare il nostro presente e il nostro futuro. Ogni carattere appare sempre sul punto di esplodere e, come nella realtà, ognuno di noi può essere di volta in volta vittima o carnefice. Il groviglio dei rapporti umani è impossibile da sciogliere o da ricondurre a un’unica trama, e per questo lo script non ricerca semplificazioni o scappatoie. Al contrario, possiamo facilmente perderci e non ritrovarci più, immersi in una frammentazione familiare gravida di tensione e disagio. E possiamo persino provare fastidio per quell’ultima straordinaria scena finale che, coerentemente, non solo non chiude le fila del racconto, ma apre mille possibili nuovi percorsi. Che non vedremo mai sullo schermo, ma che immagineremo a lungo anche dopo la fine dei titoli di coda.