“Umana, troppo umana”
È l’era del ritorno alle origini. Dopo il recupero filologico di Hazanavicius (The Artist) e la riscrittura andalusa di una nota fiaba europea (Blancanieves), Sabu ripropone un bianco e nero esangue a tematica “revenant”. Omaggio al cinema muto e racconto femminista a sfondo horror.
Una donna racchiusa in gabbia. Un libretto di istruzioni. Una pistola carica. Sara, occhi nerissimi e squarci sul viso, viene “recapitata” in casa del dottor Teramoto, altolocato signore che vive con moglie, figlio e due valletti tuttofare. Una colf che sa solo strigliare il pavimento ed emettere strani versi gutturali mentre ripete sempre lo stesso gesto, avanti e indietro con la mano sulle mattonelle lerce. Non è viva, né morta, solo affetta da “zombismo” a basso tasso epidemico e per questo inviata presso la famiglia. Il Giappone ha conosciuto una tragica pandemia che ha mutato gli umani in zombie e il governo li ha classificati in base alla gravità dell’infezione. Chi non è all’ultimo stadio può ancora essere utile alla società, soprattutto ai benestanti che possono fregiarsi di un’instancabile e muta servitù. La mitologia dei walkers, a partire da Romero si è nutrita ultimamente dell’approccio romance declinato in salsa comedy (Warm Bodies) o elegiaca (Les Revenants, In the Flesh). Sabu (Tanaka Hiroyuki), dopo il garbato Bunny Drop, realizza un cupo melodramma da camera innervato da sfumature thriller e pervaso da un’atmosfera ossessiva. Sara è un morto vivente “umano, troppo umano” perché al senso attutito non corrisponde l’anestesia della coscienza. Ricorda. È stata donna e quasi madre prima della trasformazione in cadavere ambulante. Così la parabola decadente del regista trascolora nel doloroso apologo femminista: corpo femminile senza respiro esposto al pubblico ludibrio, violato e umiliato; dalla brama sessuale di aguzzini senza scrupoli, dai bambini che la colpiscono coi sassi, da Teramoto che si invaghisce di lei e da sua moglie, accecata dalla gelosia per il piccolo e adorato figlio. Un revenge movie (con intermezzo rape) che incrocia i tormenti fisici e psicologici di The Woman (Lucky McKee) e si riallaccia al filone zombie movie iniziato da Victor Halperin nel ’32. Nello scabro bianco e nero dissolvenze improvvise e squarci naturalistici di albe e tramonti immergono il mostro e la famiglia borghese (ma chi è più aberrante?) in un galleggiamento ipnotico scandito da suoni stridenti e grugniti in sottofondo. Non vi è nessun dialogo pregnante o alcuna didascalia nel claustrale poema visivo del regista nipponico, solo prolungati silenzi e ritmi sommessi fino all’esplosione cromatica in chiusura a cui si accompagnano detonazioni da arma da fuoco. C’erano una gabbia, un libretto di istruzioni e anche una pistola, ricordate? Una sorprendente favola nera.
Miss Zombie [id.,Giappone 2013] REGIA Sabu.
CAST Toru Tezuka, Ayaka Komatsu, Makoto Togashi, Riku Onishi, Taro Suruga.
SCENEGGIATURA Sabu. FOTOGRAFIA Daisuke Soma.
Horror, durata 85 minuti.