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La fiamma del peccato (1944)

sabato 18 Luglio, 2015 | di Massimo Padoin
La fiamma del peccato (1944)
Film History
2
Voto autore:

SPECIALE GRANDI CLASSICI
I fatti del genere
“Keyes, dicesti niente infortunio. Esatto. Dicesti niente suicidio. Esatto. Dicesti omicidio… esatto”. Tre fatti inconfutabili da una confessione, anche se a Walter Neff le confessioni non sono mai piaciute, tre fatti che racchiudono tutta la vicenda e svelatici fin dall’inizio attraverso un’iperbole narrativa, tre fatti che racchiudono il pragmatismo di un intero genere e più propriamente di un’era del cinema.

Poche presentazioni, La fiamma del peccato è uno dei capisaldi del cinema entrato nella storia come i suoi autori, Billy Wilder che lo ha scritto assieme a Raymond Chandler da un romanzo di James M. Cain, pietra miliare del noir che delinea tutte le sue regole ma allo stesso tempo contiene anche le sue contraddizioni. La durezza di uomini tutti d’un pezzo e l’ambiguità morale di una femme fatale, accomunati da un pragmatismo di chi agisce spinto non solo dalla passione, ma anche dall’interesse personale. mediacritica_la_fiamma_del_peccato_290Liberarsi del marito e intascarsi la polizza assicurativa con la sua morte, puntando alla doppia indennità, è il gioco pericoloso che decidono d’intraprendere Walter Neff e Phyllis Dietrichson. Una serie di eventi attentamente studiati con lo scopo d’ingannare Keyes, l’arguto collega di Neff. Fatti e solo fatti, azioni pensate e messe in pratica sono lo stilema epidermico del noir e del cinema classico, che ne contiene anche i germi contaminatori, quella costante percezione d’imminente fallimento che porterebbe alla sedia elettrica, ancora una volta una fine materiale e non morale, oppure quell’omino dentro Keyes che non lo fa mangiare e dormire bene, un’inspiegabile inquietudine che racconta ai personaggi qualcosa di più dei singoli fatti. È tutto qui il noir nel cinema classico, un contraddittorio gioco tra il pragmatismo e l’incapacità di zittire un mondo che non vive solo di fatti e ansima costantemente sul collo dei personaggi. Come una scopata tra il protagonista e la femme fatale, elisa dal montaggio, ma fattaci intuire solo da dettagli, come la sigaretta sul divano e la cravatta scomposta. Tutto si regge sulla sublimazione del contenuto più passionalmente viscerale. La percezione di un mondo in cui la moralità è oscurata dalla notte in cui avvengono le azioni, dove il classicismo rimanda a un’iconografia identificata sempre simile a se stessa (la luce attraverso le tapparelle che tratteggiano le sbarre esistenziali cui sono destinati i personaggi hard boiled). La decadenza raccontata da una cultura all’epoca considerata di genere, e quindi marginale, ma che ci dona il più intenso sguardo su un’esistenza lontana dai riflettori. Personaggi che vivono di un pragmatico senso delle loro azioni e di un senso di sfida, tanto da rinfacciare all’amico quanto fosse miope a non accorgersi che l’uomo cui dava la caccia era davanti ai suoi occhi, dimenticandosi al contempo che il vero movente di questo gioco degli eventi è qualcosa di concretamente inafferrabile, come la passione amorosa di un rischio a due.

La fiamma del peccato [Double Indemnity, USA 1944] REGIA Billy Wilder.
CAST Fred MacMurray, Barbara Stanwyck, Edward G. Robinson, Tom Powers.
SCENEGGIATURA Billy Wilder, Raymond Chandler (dal romanzo omonimo di James M. Cain).
FOTOGRAFIA John F. Seitz. MUSICHE Miklós Rózsla.

Noir, durata 104 minuti.

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