Il lato sfacciatamente kitsch della fantascienza
Un centinaio d’anni dopo lo sbarco sulla Luna, il nostro satellite, ora parzialmente abitato da minatori e detenuti, è diventato la principale fonte energetica dell’umanità. Due carcerati, mandati in una zona remota per indagare su un satellite artificiale precipitato, fanno una scoperta sconvolgente: proprio accanto al dispositivo caduto, scorgono non solo quello che sembra un fiore molto simile al loto terrestre, ma anche una radice bluastra che si dirama da quello che si credeva il sterile e polveroso suolo lunare.
Improvvisamente, i due carcerati vengono ingoiati da una enorme voragine, senza fare in tempo a segnalare quella stranezza. Un delegato del governo statunitense viene incaricato di far luce sull’accaduto, e subito intuisce che dietro a tutto c’è un torbido gioco di interessi privati (della compagnia che gestisce la colonizzazione della Luna) e interessi nazionali (degli Stati che vorrebbero il predominio del satellite).
Premetto: non sono quel che si dice un’amante delle trasposizioni cinematografiche di avventure spaziali che manifestano una mancanza palese e arrogante di realismo tecnologico-scientifico e antropologico. Mi è capitato spesso, però, di ricredermi dopo aver visto film o serial molto più fantasiosi che fantascientifici, dove la libertà creativa risultava congeniale a quanto si narrava e quindi in qualche modo giustificata perché il tutto funzionava perfettamente. Ebbene, non è questo purtroppo il caso di High Moon. Ricavato dal materiale girato diversi anni fa in vista di un plot di un serial che non vide mai la luce, l’emittente americana Syfy ha deciso di riesumarlo nel 2014 condensandolo in un solo film per la tv, trasformandolo di fatto in un boomerang capace di ledere l’idea che gli spettatori hanno di questo canale ormai cult (che negli ultimi anni ha saputo sfornare ottimi format come Ascension). Tentare di essere magnanimi o anche solo bendisposti di fronte a quest’opera è davvero una “mission impossible”, non c’è che l’imbarazzo della scelta tra gli aspetti non riusciti di questa infelice trasposizione cinematografica di The Lotus Caves, romanzo per adolescenti di John Christopher che Bryan Fuller ha rielaborato forse in maniera un po’ troppo libera: su tutti spicca l’eccentrico surrealismo (che però in altri film – vedi Branded – funzionava bene) di cui è intrisa l’intera ambientazione lunare, dove non mancano robot nipponici a guisa di T-Rex in stile Tamagochi e tute spaziali che sembrano composte da un pigiama da pistoleri e una boccia per pesci rossi, mentre i suoni si diffondono forti nello spazio e la rarefatta gravità lunare non inficia minimamente i movimenti umani. Peccato, perché il groviglio di spionaggio e conflitti personali delle tematiche e la contrapposizione di campi lunghi e repentine zoomate con cui High Moon esordiva promettevano davvero bene.
High Moon [id., USA 2014] REGIA Adam Kane.
CAST Jonathan Tucker, Constance Wu, Charity Wakefield, Chris Diamantopoulos.
SCENEGGIATURA Bryan Fuller, Jim D. Gray (dal romanzo The Lotus Caves di John Christopher). FOTOGRAFIA Jon Joffin. MUSICHE Trevor Juile.
Fantascienza, durata 130 minuti.