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In questo numero

Julien Donkey-Boy (1999)

sabato 10 Dicembre, 2016 | di Massimo Padoin
Julien Donkey-Boy (1999)
Speciale Famiglie Disfunzionali
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SPECIALE FAMIGLIE DISFUNZIONALI
Weird family
Harmony Korine nelle pellicole che ha scritto o diretto ha quasi sempre raccontato nel profondo di nuclei familiari, anche se solo raramente in questi il legame di sangue realmente esisteva. Un legame che andava oltre appunto la parentela per essere invece un’unione più problematica, quasi sempre per elementi socialmente borderline.

Tossicodipendenza e AIDS, fino alla condivisione di un’esistenza dimenticata dalla società, come può essere per Gummo, ma anche la voglia di sballarsi delle ragazzine borghesi di Spring Breakers. Condivisione di esperienze in cui la quieta vita di studentesse viene messa tra parentesi da sesso, droga e violenza, mediacritica_julien_donkey_boy_290e in cui la reale famiglia (di cui sentiamo solo le conversazioni telefoniche) altro non è che un rimando a quell’altra esistenza, rassicurante e regolare di una vita universitaria che sembra essere già scritta. La famiglia di Julien Donkey-Boy, proprio com’era per i ragazzi di Gummo, al contrario non ha questa scelta, quella di uscire dalle proprie esistenze per perdersi nella perdizione come vacanza: tutti vivono una condizione di degrado senza alcuna scappatoia. Un microcosmo che non si apre all’esterno, a partire dal padre che sprona – al limite del sadismo – il figlio Chris a diventare un lottatore, senza mai portarlo ad allenamenti esterni ma costringendolo a prove di forza ridicole, mostrando inoltre la mancata elaborazione del lutto della moglie. Chris stesso non fugge da questa condizione sottomettendosi, silenziosamente e carico di rancore alla pressione del padre. Il nucleo familiare diviene un mondo chiuso in se stesso proprio nel rapporto tra Julien, ragazzo schizofrenico e fulcro del racconto, e la sorella, incinta del figlio concepito da lui. Il nucleo che si ciba di sé, in una continua ricerca delle debolezze degli uni e degli altri, di oppressioni e di problematicità mai espresse, ma affrontate con esasperata rabbia. Korine come utilizza uno stile frammentario, non sempre lineare e disturbante nello specifico per raccontare i blackout di Julien. Ruvido nell’immagine (aderisce al Dogma 95) e nel sonoro, appare meno ispido che nel lungometraggio d’esordio, ma anche meno immaginifico nella sua stranezza. Julien Donkey-Boy si apre però a uno sguardo più fiducioso su questa umanità, proprio tramite Julien e il gruppo di ragazzi con disagi psico-fisici che frequenta. Paradossalmente, la persona che vive la condizione clinicamente più disagevole riesce ad aprirsi all’esterno una propria via. Pur sempre frammentata e instabile, osservata con diffidenza dalla normalità circostante, come potrebbe essere il nostro sguardo nei confronti delle immagini sgranate di Korine: reali e simpatetiche, che lasciano intravedere una salvezza ed una pace lontana da una famiglia contraddistinta fino alla fine dalla tragedia.

Julien Donkey-Boy [id., USA 1999] REGIA Harmony Korine.
CAST Ewen Bremmer, Werner Herzog, Chloë Sevigny, Victor Varnado.
SCENEGGIATURA Harmony Korine. FOTOGRAFIA Anthony Dod Mantle. MONTAGGIO Valdís Óskarsdóttir.
Drammatico, durata 94 minuti.

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