Il caos è una scala
La regia disciplinata di Stanley Kubrick impone agli attori di centellinare i movimenti e le espressioni; essa si adatta perfettamente agli ambienti militari e politici (Orizzonti di gloria, Il dottor Stranamore, Full Metal Jacket) ma ha forse trovato la sua massima sintonia con i salotti borghesi del diciottesimo secolo, tra amori nascosti e conflitti sotterranei di uomini impomatati e donne strette in busti rigidissimi.
Non è probabilmente quello più ricordato ma Barry Lyndon è il film più premiato tra quelli diretti dal suo regista. Tali premi sono stati conferiti alle “categorie tecniche” (con gli Oscar alla Miglior Fotografia, Scenografia, Costumi e Colonna Sonora) e quindi lasciarono, come accadde anche con 2001: Odissea nello spazio, il regista newyorkese a secco di riconoscimenti personali, nonostante egli abbia avuto l’indubbia capacità registica di mettere insieme e coordinare nel miglior modo possibile i talenti – questi riconosciuti – di Milena Canonero, John Alcott, Leonard Rosenham e Ken Adam, per citare solamente quelli che hanno portato a casa la statuetta dorata. Ancora una volta, Kubrick si confronta con un’opera letteraria e ancora una volta ci propone un protagonista complesso, detestabile ma spinto da passioni forti. Redmond Barry (Ryan O’Neal) è un arrampicatore sociale ed è “pigro, senza principi e ha una cattiva influenza sui suoi commilitoni”, ma nella sequenza iniziale siamo partecipi del suo primo amore e in fondo è uno dei pochi personaggi a tradire le proprie emozioni in un mondo popolato da aristocratici e soldati. La guerra dei sette anni è un’opportunità di distinguersi che Barry non si lascia sfuggire e grazie al suo coraggio e temperamento emozionale egli comprende presto come farsi strada: il duello è un’esplosione di violenza che crea nuovi equilibri di potere ed è il mezzo perfetto per la scalata del giovane kamikaze irlandese. Si tratta di violenza codificata, tutti i duelli in Barry Lyndon sono dei riti le cui regole ci sono esposte chiaramente da un arbitro, con cui la società del ‘700 sbrigava le proprie faccende in modo rapido e onorevole. Barry si batte per amore, per l’onore, come faccendiere di un baro e infine per conservare lo status sociale guadagnato, e vince sempre finché è spinto dalla fame perché egli non ha nessuna qualità all’infuori della fortissima determinazione a farsi posto nel mondo dell’aristocrazia. Oggi, Barry Lyndon è principalmente ricordato per la sua straordinaria fotografia e per la sua ricostruzione storica puntuale ma le sue qualità non si limitano all’estetica. Esse sono così numerose che richiederebbero più spazio per essere descritte anche solo superficialmente, limitiamoci allora a dire che è un film quadrato, memorabile da ogni lato lo si guardi.
Barry Lyndon [Id., Gran Bretagna/USA/Irlanda 1975] REGIA Stanley Kubrick.
CAST Ryan O’Neal, Marisa Berenson, Patrick Magee, Hardy Kruger, Steven Berkoff.
SCENEGGIATURA Stanley Kubrick (tratta dal romanzo Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray). FOTOGRAFIA John Alcott. MUSICHE Leonard Rosenman.
Drammatico/Storico, durata 184 minuti.