BLACK AMERICA
La caduta dei supereroi
Dal fumetto come fuga al fumetto come impegno. È lo stesso Ta-Nehisi Coates a svelare quanto gli albi della Marvel abbiano riempito e consolato i suoi malesseri di adolescente. Anche i deboli potevano superare ogni barriera ed essere supereroi, ma quelle mitiche figure col tempo sono diventate malinconiche, cariche di destino e di responsabilità troppo grandi, quasi fallibili malgrado le capacità smisurate.
Ed è in questo stato che Coates incontra Pantera Nera, per scrivere una delle sue storie più tormentate e introspettive. Alla sua apparizione nel 1966 – l’albo è ristampato in coda al primo dei quattro volumi – Pantera Nera, re di Wakanda, è sicuro, determinato, pienamente vitale, quasi riesce a sconfiggere e imprigionare i Fantastici Quattro con tranelli ed acrobazie. Dalla penna di Coates e dai disegni di Brian Stelfreeze emerge invece un T’Challa (questo il vero nome di Pantera Nera) esitante, dubbioso, a tratti furioso e rancoroso, vendicativo. Lo vediamo più preso in colloqui, con la maschera tirata giù e il volto crucciato, che in azione; non ha più la sicurezza dei tempi di Panther’s Rage o della serie di Christopher Priest; ora sferra colpi con la piena consapevolezza della loro inutilità, combatte per inerzia, perché è il solo modo in cui sa agire, combatte per rimandare finché può la rottura col suo popolo: i tempi sono cambiati e la sfiducia regna sovrana. Gli antagonisti che si trova ad affrontare infatti non sono forze esterne, supereroi venuti da lontano, creature fantastiche, ma i suoi stessi sudditi, organizzatisi in fazioni contrastanti, semiclandestine, guidate da ideali o dal puro istinto di sopraffazione. La sceneggiatura frammentaria e schizofrenica, nel suo saltare da un luogo all’altro, da un piano temporale ad un altro, con dialoghi spesso enigmatici e misterici, costellati di monologhi paralleli, è segno di una volontà formale ben precisa, finalizzata a rappresentare una realtà caotica quanto quella dell’universo afroamericano statunitense. Coates indubbiamente cala Pantera Nera e il regno di Wakanda in un registro simbolico: senza forzare la mano riesce a intrattenere e ad argomentare da un punto di vista insolito le sue posizioni politiche. Il columnist dell’Atlantic, scettico nei confronti di un post-razzismo USA, vede il problema razziale annidato all’interno della stessa comunità nera e attraverso i ribelli di Wakanda dà forma ad un’allegoria sostanziosa: anche l’emancipazione sociale e la sovranità tecnica non sono sufficienti a dare ai sudditi di T’Challa la coesione attesa. Sin dal movimento per i diritti civili anni Sessanta, per non risalire fino a W. E. B. Du Bois, gli afroamericani hanno sempre trovato difficoltà a marciare uniti, sotto un’unica prospettiva di parità sociale, e il Wakanda soffre le stesse scissioni, fratture in cui Pantera Nera vede l’abisso, fino a percepirsi “diviso dal suo stesso sangue”. I disegni intensi e ben orchestrati, ma un po’ monocordi nelle espressioni, sostengono l’immaginazione di Coates. Siamo ai vertici dell’universo Marvel, l’illusione supereroica è gettata nel realismo più desolato e “Il Sogno è la consuetudine che mette in pericolo il pianeta, che vede i nostri corpi immagazzinati nelle prigioni e nei ghetti” (Ta-Nehisi Coates, Tra me e il mondo, Codice Edizioni, Torino 2016).
Pantera Nera – Una nazione sotto i nostri piedi Vol.1 [Black Panther – A nation under our feet Vol.1, USA 2016] TESTI Ta-Nehisi Coates. DISEGNI Brian Stelfreeze.
EDITORE Panini Comics.
Albi in raccolta, 128 pagine.