Gli occhi del cuore
Nel percorso di adattamento della figura dell’ondina dal folklore germanico alla sceneggiatura di Undine, Petzold ha dichiarato di aver tenuto conto del racconto di Ingeborg Bachmann Ondina se ne va, in cui questa creatura dell’acqua prende la parola direttamente ed esprime, con grande intensità, una varietà di sentimenti, generati dai rapporti passionali con i comuni mortali di sesso maschile. Nel testo di Bachmann, dunque, la vertigine di senso in cui cade dolcemente il lettore ha la sua origine nel contrasto tra la narrazione in prima persona, il “prendere voce” letteralmente, da parte dell’ondina, e l’attribuzione a se stessa di un mutismo naturale che è complemento del logos maschile appartenente agli uomini amati.
Stravolgendo quest’interpretazione della poetessa austriaca, fino al punto che sin dall’inizio del film la protagonista fa della voce addirittura il proprio strumento di lavoro come guida turistica, e relegando alla dimensione onirica – con tanto di soggettiva “assassina” – il momento vendicativo e macabro della fiaba, che vede l’ondina costretta da una maledizione a uccidere i suoi amanti che la tradiscono, Petzold dirige una magistrale riflessione sullo sguardo.
Infatti, pur nell’evidente multisensorialità del film e nella straordinaria fisicità dei due attori principali, proprio lo sguardo individuale è il tramite fra l’interiorità dei personaggi e la realtà esterna, oltre a essere ciò che dà significato e valore al rapporto fra il dispositivo cinematografico e il mondo. Prendiamo la scena in cui il dettaglio dell’occhio di Undine attiva lo spalancarsi della sua memoria: nell’estrema complessità dello spazio filmico di Undine, il ricordo è un ponte tra il vissuto soggettivo dei luoghi associati alla vita privata e l’oggettività neutra del plastico della città di Berlino. Come se nel film di Petzold esistessero solo sguardi d’amore, analoghi a quello che si scambiano Undine e Christoph nel loro primo incontro, mentre sono cascati a terra, dopo la rottura dell’acquario.
Alla funzione dello sguardo di ricordare, creare e controllare – come nelle numerose inquadrature di Undine che, dalla finestra del museo dove lavora, osserva i tavolini del caffè in cui incontra il suo ex fidanzato Johannes – la storia romantica se ne aggiunge una quarta, quella di distruggere il rapporto sentimentale. A partire dal contatto oculare tra Undine e Johannes, quando i due ex s’incrociano per strada, in compagnia dei rispettivi nuovi partner, la relazione tra Undine e Christoph viene minata nelle sue basi di fiducia, fino a diventare un amore impossibile e anfibio, nella seconda parte del film, in cui a reggere il regime di focalizzazione è Christoph. Com’era accaduto con Undine, da spettatori rivediamo anche le immagini mentali di Christoph, che rammenta l’abbraccio con la protagonista, l’acquario frantumato in mille pezzi. Anche per Christoph lo sguardo sulla città si identifica con il ripercorrere la visione dei luoghi dell’amore vissuto, quando Undine ormai è tornata nel suo mondo acquatico. La parziale scomparsa di Undine dal film è rispecchiata dalla mancanza della sua immagine nelle riprese subacquee che Christoph guarda al computer, dopo l’immersione in cui la incontra, a due anni di distanza. L’immagine mancante di Undine è visibile solo agli occhi dell’amore. È l’immagine stessa dell’amore, indicibile per definizione.
Nella struggente parte conclusiva del film, due sguardi si oppongono: quello impotente della nuova compagna di Christoph, che lo vede immergersi nel lago senza attrezzatura, e, nell’ultima inquadratura, la soggettiva subacquea di Undine, che allontana i suoi occhi dal mondo, cioè dall’amato, solo dopo aver riconquistato sia il proprio sguardo, lo sguardo del film stesso, sia Christoph, per un istante. L’acqua sale fino a coprire l’obiettivo della cinepresa, che ormai è tutt’uno con Undine. Il film finisce, l’amore è eterno.
Undine – Un amore per sempre [Undine, Germania/Francia 2020] REGIA Christian Petzold. CAST Paula Beer, Franz Rogowski, Maryam Zaree, Jacob Matschenz, Anne Ratte-Polle. SCENEGGIATURA Christian Petzold. FOTOGRAFIA Hans Fromm. MONTAGGIO Bettina Böhler. Drammatico, durata 90 minuti.