Orrori di provincia
In pieni anni di piombo Mauro Bolognini realizza un film durissimo quasi come cartina da tornasole di un’epoca cupa e violenta, traendo ispirazione dal noto fatto di cronaca nera (avvenuto a Correggio fra il 1939 e il 1940) riguardante le gesta di Leonarda Cianciulli, la quale fece a pezzi tre donne mettendole a bollire e ricavandone del sapone.
Gran bollito esce nel 1977, anno in cui Mario Monicelli realizza Un borghese piccolo piccolo. Entrambi i film rappresentano, attraverso i moduli del racconto grottesco, la follia omicida dell’individuo qualunque all’interno di una società sull’orlo del baratro.
Il titolo del film di Bolognini può suonare ironicamente macabro (restando strettamente legati al fatto di cronaca) ma al tempo stesso funziona come metafora per rappresentare una commedia all’italiana ormai in putrefazione di cui resta solamente un cadavere da contemplare con orrore. Se da un lato il cinema comico entra nell’erotismo con la commedia sexy, dall’altro la commedia d’autore esplora l’orrore puro che si annida dietro i resti della pochade.Gran bollito è un capiente calderone in cui si mescola la farsa fino a farla diventare un elemento perturbante, difatti l’idea di far interpretare i ruoli delle tre vittime femminili a tre interpreti maschili crea un forte spaesamento. Renato Pozzetto, Alberto Lionello e Max Von Sydow in abiti femminili riescono a non scadere mai nel puro macchiettismo da avanspettacolo, restando in equilibrio tra l’ironia grottesca e la profonda amarezza della solitudine umana. Ma a dominare in questa morbosa ballata di provincia (scritta da Luciano Vincenzoni e Nicola Badalucco) è Shelly Winters (presente anche in Un borghese piccolo piccolo) nel ruolo di Lea Cianciulli, la quale recita con tutto il corpo imprimendo ad ogni inquadratura la sgradevolezza fisiologica di una donna ripugnante e psicologicamente malata.
Bolognini insiste sui dettagli gore delle decapitazioni aumentando il senso di perturbante con una schiera di personaggi secondari che si avvicinano agli umori del primo cinema di Pupi Avati. La zoppa di Liù Bosisio, la ritardata Tina interpretata da Milena Vukotic, Rita Tushingham come sorella del prete, un’orda di freaks che incarnano gli orrori nascosti della provincia in cui regna l’omertà. Poi c’è Laura Antonelli nel ruolo di Sandra che esprime bellezza e purezza, opponendosi alla sgradevole fisiologia e all’animo gretto di Lea che la odia perché teme che possa sottrarle il suo unico figlio.
Pervaso dalla fosca fotografia di Nannuzzi, scandito dal teso montaggio di Baragli e dalla malinconica melodia di Jannacci, Gran bollito alla sua uscita subì il divieto ai minori di 14 anni e non godette di particolari stime critiche, ma oggi è stato in parte rivalutato come piccolo capolavoro in cui Bolognini una volta di più gioca a demascolinizzare i personaggi maschili, sottolineando una tensione morbosamente omoerotica che ha spesso caratterizzato gran parte della sua produzione.