Il racconto di una donna mefistofelica, di una società e di un tempo
“Tutti abbiamo bisogno di illusioni” è una delle frasi di Wanna Marchi. Intorno a lei, e al suo mondo fatto di inganni, urla, scioglipancia e riti per togliere il malocchio, si costruisce in 4 episodi la miniserie Wanna, ideata da Alessandro Garramone e diretta da Nicola Prosatore, disponibile su Netflix dal 21 settembre 2022.
Wanna narra il fenomeno Marchi, la sua ascesa e caduta, la trasformazione da donna venuta dal niente ad abile e spietata miliardaria, il rapporto simbiotico con la figlia Stefania Nobile.
Si entra nel processo leggendo le carte e ascoltando le parole degli avvocati e di chi l’ha conosciuta: colleghi, clienti, collaboratori (Do Nascimento) e tutti coloro che ruotavano intorno al suo mondo dagli anni ’80 in poi, quello dei tormentoni e degli slogan, di tv locali e televendite. Al centro c’è lei, lingua feroce, di professione hater del suo pubblico, che fin dai primi minuti dà prova di potere infinito: sa vendere tutto, anche oggi, perfino sé stessa, nonostante la condanna a 9 anni e 6 mesi. Wanna ricorda persone (faccendieri e politici come Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi, Bettino Craxi), eventi, inizi (moglie che ha dovuto rimboccarsi le maniche, donna maltrattata dal marito, la creazione di un brand e di un impero), ride, guarda dritto in camera, si prende lo spettatore e lo fa suo. C’è Wanna Marchi e non c’è spazio per nessun altro. Si presenta con voce sempre sgradevole, quella capace di richiamare i naviganti spinti e sospinti dalla disperazione, con un’immagine inevitabilmente diversa. Un’ex diva, la Gloria Swanson di Viale del tramonto così definita da uno degli intervistati, con i capelli una volta rosso acceso, ora bianchi alla guisa di Medusa della Sirenetta. La protagonista, una figura “tragica” da opera greca o shakespeariana, gigantesca nel suo potere, può parlare di tutto e mentire spudoratamente eppure chi guarda e ascolta è irretito; questo è uno dei punti di forza di Wanna che segue la strada produttiva e narrativa di SanPa. Si esemplifica ciò che accadeva durante le televendite, si ricostruisce proprio la società dello spettacolo di cui Marchi è massima espressione. L’incantesimo si attua anche se 30 anni sono passati, anche se si conosce la sua colpevolezza. È interessante che un racconto ultra pop, potente e rapido, mai superficiale, fotografi un’Italia ricca e dorata ma grottesca, persa per uno struggente bisogno di trovare qualcuno e si affidi a due sante e false dee che sotto vestiti e maschere nascondono spire e tentacoli.
Wanna è una favola nera, ben scritta e diretta, che prorompe ed esonda proprio attraverso la sua protagonista, ancora oggi comunicatrice aggressiva e incisiva. È un true crime con una narrazione indiavolata e folle che dimostra come sia possibile rimanere vittime di un gioco sporco e spietato, che spiega il meccanismo alla base della creazione dell’impero Marchi ricordando chi e cosa siamo stati.