La passione secondo Bellocchio
Ernesto Picciafuoco, pittore ateo, separato dalla moglie Irene e molto legato al figlio Leonardo, entra in crisi quando scopre che a sua insaputa è in corso da tempo un processo di beatificazione nei confronti della madre. Mentre tutti cercano di convincerlo a convertirsi, Ernesto si ferma a riflettere su sé stesso, sul suo presente e passato.
“Lei mi ha dato una notizia incredibile, del tutto estranea alla mia vita”, reagisce così Ernesto con una sincerità brutale quando riceve l’“annunciazione” da parte di un sacerdote, della santificazione della madre uccisa per mano del fratello Egidio (una sorta, con le dovute differenze, di Alessandro di I pugni in tasca, qui cresciuto) da lei ripreso perché bestemmia.
Con questa scena forte e disorientante, ha inizio L’ora di religione, un saggio illuminato, confessionale e confessato, laico eppure devoto, in cui si ripropongono temi, arricchiti e approfonditi nel tempo, da sempre appartenenti all’immaginario di Marco Bellocchio: fede e religione, famiglia e allontanamento da essa, potere e ribellione. L’uomo, antieroe moderno, costruito sull’espressività essenziale di un Sergio Castellitto umanissimo, appare nella sua più completa fragilità, nella paura di chi non sa e non crede in “Nulla”. Bellocchio racconta la storia di Ernesto, perso di fronte a una notizia per lui incomprensibile, asse del racconto attorno a cui tutto il resto si muove. La cospirazione e la pressione di preti e familiari lo fanno cadere in una crisi profondissima. Viene avvolto da spire insinuanti, in grado di stritolare e silenziare ogni cosa sotto una coltre di cinismo (la zia Maria, la moglie, i fratelli e il miracolato Filippo Argenti, citazione del dannato dantesco) secondo cui la canonizzazione è assicurazione per l’aldilà, riacquisizione di prestigio. Tutto questo mette in moto il lungo percorso del protagonista, un calvario laico che passa attraverso varie stazioni: dialoga con il piccolo Leonardo, suo figlio, pura coscienza in corpore, che parla con Dio, che pone domande e pungola l’animo in dubbio; incontra il conte Bulla, nobile decaduto e nostalgico, che lo sfida; incrocia lo sguardo dell’insegnante di religione, Diana, immagine misteriosa e salvifica; discute con il passato, interrogando così sé stesso, e con la madre, rappresentazione e ricordi, che continua a ritornare, come fantasma, risalendo il burrone in cui è “caduta”, riemergendo sulla bocca di Ernesto ogni volta in cui sorride. Il sorriso, movimento appena percettibile dei muscoli, enigmatica eredità materna che gli altri scambiano per irrisione, è datore di senso e forma talmente importante da essere presente nel sottotitolo e diventare immagine del film. Quella di Ernesto è una storia fatta di rapporti e scontri ideologici, è un disegno intenso e a tratti oscuro di apparizioni e catarsi, prima fra tutte la scena della bestemmia, talmente scandalosa all’epoca da vietare il film ai minori di 14 anni e da censurarlo per la tv. Il grido blasfemo di Egidio, accumulo furioso e disperato di rabbia, ha una motivazione precisa, è liberazione dall’ingombro interiore gravoso e dolente. Ernesto capisce perfettamente il tentativo del fratello di vomitare la sofferenza di fronte al potere, e lo stringe in un lacrimoso abbraccio. Il protagonista deve compiere una scelta radicale, mettendo in gioco la propria identità. L’ora di religione è simbolico e commovente, capace di una spiritualità tanto intensa da sembrare impossibile per un laico. Bellocchio, autore fedele a sé stesso, ancora il ragazzo con i pugni stretti in tasca, è narratore potente che scrive un’opera con una sua verità, detta con grande forza, senza compromessi.