Mi sento scossa, agitata, agitata, un po’ nervosa
Dopo tre film dedicati a personaggi maschili in crisi, alla ricerca di un’identità forte, il primo, affascinante film “al femminile” del norvegese Joachim Trier, Thelma, continua a esplorare misteri famigliari e scherzi della memoria, mescolando la storia d’amore omosessuale e post-adolescenziale, il thriller psicologico/soprannaturale, il racconto di formazione drammatico e ospedaliero.
Come i primi due film di Trier, e a differenza del più corale Segreti di famiglia, tutti comunque realizzati con gli stessi collaboratori – dallo sottocultura dello skate, infatti, in gioventù il regista ha imparato l’importanza fondamentale del gruppo, della “gang” di amici, nel raggiungimento dei propri obiettivi –, Thelma ha per protagonista un individuo alienato che lotta per essere se stesso e che ha difficoltà ad interagire con gli altri. In particolare, in Thelma si tratta di una studentessa universitaria parecchio inibita, figlia di genitori molto religiosi e apprensivi, che scopre di avere poteri telecinetici, inizialmente scambiati per crisi epilettiche. Molti hanno notato l’influenza della Carrie kinghiana, portata sul grande schermo da Brian De Palma, su questo film di Trier, che però di horror e sangue è quasi sprovvisto, e anche di ironia. Trier, che nelle interviste, da perfetto esponente del cinema d’autore “da festival” del vecchio continente, si presenta come un intellettuale di buone letture e un cinefilo accanito, dai gusti eterogenei, in Thelma, il suo film più apertamente formalista e dall’impatto visivo più forte, fa della sua antieroina una “donna originaria”. Facciamo riferimento all’accezione del termine utilizzata nelle pagine che Deleuze, nell’Immagine-movimento, dedica al naturalismo dell’immagine-pulsione di Losey, Stroheim e Buñuel. Dai primi piani tutti scandinavi, scuola Bergman e Dreyer, degli altri suoi lungometraggi, dal disagio psicologico espresso principalmente attraverso la parola, così il cinema di Trier si evolve verso la rappresentazione spettacolare e “truccata”, ma naturalistica, di una violenza repressa e implosa, che scuote letteralmente la figura di Thelma, creatura anfibia, scissa tra sogno e realtà, fede cristiana e sessualità saffica, regressione infantile e trasgressioni libertarie. Prigioniera della propria carne, Thelma è succube della rabbia e del piacere, del desiderio di morte e della libido, di un’immaginazione così potente da concretizzarsi in mutamenti dello stato fisico della materia. I sintomi di un trauma lontano, rimosso, svelato a poco a poco nei flashback, si manifestano anche nel sonno, corpo e psiche sono interconnessi come nei film di Cronenberg. E se del maestro canadese non ha l’imbattibile rigore filosofico e stilistico, con questo oggetto strano, non identificato che è Thelma, di sicuro Trier sorprende per versatilità e amore per il cinema, confermandosi uno dei registi da tenere d’occhio del cinema contemporaneo europeo.
Thelma [id., Norvegia/Francia/Svezia/Danimarca 2017] REGIA Joachim Trier.
CAST Eili Harboe, Kanya Wilkins, Henrik Rafaelsen, Ellen Dorrit Petersen, Anders Mossling.
SCENEGGIATURA Eskil Vogt, Joachim Trier. FOTOGRAFIA Jakob Ihre. MUSICHE Ola Fløttum.
Drammatico/Fantastico, durata 116 minuti.
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