… quando ho letto per la prima volta, a inizio novembre, il programma del 30° Torino Film Festival, non stavo nella pelle all’idea di vedere il tuo La parte degli angeli. Oltre al fatto, non trascurabile, che ho sempre amato il tuo cinema, ritenendolo non solo bello, ma necessario, le recensioni del tuo ultimo lavoro suonavano entusiasticamente promettenti.
Però, poi, a Torino La parte degli angeli non c’era, e non c’eri nemmeno tu. Hai rifiutato il tuo premio in solidarietà ai lavoratori del Museo del Cinema, subappaltati da una cooperativa e impantanati nella tristemente nota trafila di riduzioni di salario e licenziamenti senza giusta causa. Il festival ha deciso di togliere il film dal cartellone e così domani sarò in prima fila con un biglietto per vederlo in una sala della mia città. Il tuo gesto ha fatto storcere molti nasi, qualcuno l’ha bollato come estremo o addirittura ipocrita, qualcuno si è chiesto se non ti accorgi, a tutti gli altri festival a cui partecipi, di quanto le grandi e piccole rassegne culturali si appoggino sul lavoro nero o volontaristico. Qualcuno si è domandato, data l’invalicabile montagna di ingiustizie a questo mondo, se valesse la pena protestare proprio per questa. Per il grande pubblico, impegnato a vaticinare sullo spread in questo nostro gelido inverno di scontento, la tua presa di posizione è passata, purtroppo, inosservata. Eppure, con tutta l’ingenuità di cui ancora mi faccio forza, a me viene da ringraziarti. Non solo per l’illusoria convinzione che valga la pena schierarsi anche solo in una piccola battaglia piuttosto che restare sempre a bordo campo. Ma perché il punto, come dici, è la responsabilità. Nei titoli di giornale che ci seppelliscono quotidianamente, “precariato”, “abbassamento di stipendio”, “contratti a progetto”, “licenziamenti” sono solo parole che sbiadiscono come l’inchiostro, gettate lì con l’inevitabilità dei dati di fatto. A giustificarle, se proprio serve, lo spettro della Crisi. Ma nella realtà di una generazione (incidentalmente: la mia, e quella dei miei colleghi di Mediacritica) pesano tangibili come macigni, legandoci mani e piedi sul fondo di un presente senza orizzonte. Non si tratta (più) “solo” di lavoro o della sua assenza. Si tratta anche del come: quale contratto, quale stipendio, quali condizioni, quale ricatto morale o economico siamo costretti a subire. E mentre c’è chi ci rimprovera perché ci lamentiamo senza adattarci (quando adattarsi spesso significa lavorare gratis o quasi, a orari impossibili, senza tutele né sicurezze), nessuno sa prendersi la responsabilità di un sistema sregolato che ogni giorno traccia una riga sempre più nera su un’intera generazione di giovani (dis)occupati. Pure il nostro cinema, dopo un paio d’annate di denuncia sui precari da call center, è scivolato nell’impotente rassegnazione che viviamo Tutti i santi giorni. Mi dicono che La parte degli angeli recupera un’ironia e una leggerezza capaci di accendere la commozione della speranza. In attesa di vederlo e di ringraziarti ancora una volta per il tuo fare cinema, comincio con l’esserti riconoscente per il tuo gesto di protesta. Non solo bello, ma, più di ogni altra cosa, necessario.