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Le due “nuove onde” del cinema europeo contemporaneo

sabato 26 Gennaio, 2019 | di Juri Saitta
Le due “nuove onde” del cinema europeo contemporaneo
Europa 2000
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La Romania per il reale, la Grecia per l’allegoria
In questi primi diciannove anni del nuovo millennio, il cinema romeno e quello greco si sono imposti all’attenzione internazionale per la loro capacità di riflettere la realtà dei rispettivi Paesi adottando soluzioni stilistiche e narrative assolutamente riconoscibili.

Lo dimostrano i premi e i riconoscimenti che i loro film hanno ottenuto in tutto il mondo: dalla Palma d’Oro di Cannes 2007 a 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu all’Orso d’Oro di Berlino 2013 a Il caso Kerenes di Calin Peter Netzer, dalla candidatura all’Oscar 2011 per il Miglior Film Straniero a Dogtooth di Yorgos Lanthimos al Leone d’Argento per la regia ad Alexandros Avranas per Miss Violence a Venezia 2013. Due filmografie molto interessanti e vitali, dunque, che ragionano e riflettono sui problemi dei loro Paesi partendo spesso da vicende che hanno al centro il nucleo familiare, visto come il raggruppamento che può rappresentare al meglio i diversi aspetti della società, si pensi a film come Sieranevada di Cristi Puiu o al già citato Dogtooth di Lanthimos. Tali elementi tematici e narrativi sono però portati avanti in maniera radicalmente diversa dalle due cinematografie, le quali presentano aspetti stilistici e discorsivi alquanto differenti, se non diametralmente opposti. Infatti, se quello romeno è un cinema tendenzialmente aderente alla realtà, quello greco predilige invece la metafora e l’allegoria.

La cinematografia romena, dal canto suo, riflette tanto sulla storia recente del proprio Paese quanto sui suoi problemi contemporanei tramite intrecci verosimili che affrontano tali questioni in modo palese ed esplicito. mediacritica_dogtoothCosì, l’aborto all’epoca di Ceaușescu viene raccontato in 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni grazie alla storia di una donna che cerca di interrompere clandestinamente la propria gravidanza, mentre i malfunzionamenti della sanità romena sono messi in evidenza in La morte del signor Lazarescu di Cristi Puiu attraverso la vicenda di un uomo in fin di vita che nel corso di una notte passa da un ospedale all’altro. Il tutto portato avanti da una regia che adotta spesso le strategie linguistiche tipiche del cinema diretto e della filmografia dei fratelli Dardenne. Infatti, nei lavori di Puiu e del primo Mungiu la cinepresa tende a pedinare i suoi personaggi spostandosi anche bruscamente per coglierne i gesti e i movimenti, facendo spesso ricorso al longtake e a un montaggio volutamente grezzo e approssimativo, i cui raccordi sono tendenzialmente irregolari e sgrammaticati. Soluzioni che hanno la doppia funzione di trasmettere un maggiore senso di realtà (nonostante ci si trovi di fronte a opere di finzione) e di creare un climax teso e nervoso, corrispondente alla situazione esistenziale e psicologica dei personaggi.
Anche il cinema greco riflette sulla propria contemporaneità, in questo caso segnata dalla crisi finanziaria e dalle severe politiche di Austerity imposte dalla Troika. Una situazione che la filmografia ellenica sembra voler esplorare nelle sue cause e nelle sue conseguenze in modo indiretto tramite delle vicende al limite dell’assurdo e dagli evidenti intenti simbolici. In tale prospettiva, un esempio significativo arriva da Alps di Lanthimos: raccontando la storia di un gruppo i cui membri hanno il compito di stare vicino a persone in lutto interpretando e sostituendo l’amico o il parente che queste hanno perduto, il film si fa metafora di un Paese al tempo stesso immobile e traumatizzato, che deve ancora fare i conti con la crisi – non solo economica – che sta attraversando. E anche titoli come Dogtooth e Miss Violence riflettono indirettamente l’incubo vissuto dalla Repubblica Ellenica con storie sui generis incentrate sulla chiusura nel proprio microuniverso, sulla finzione e sui soprusi dell’autorità. Elementi affrontati tramite una messa in scena volutamente algida e fredda – non distante dal cinema di Michael Haneke –, composta da inquadrature fisse e spesso “irregolari”, che contribuiscono – insieme ad alcune scelte di sceneggiatura – a esaltare il lato cinico, violento e talvolta sarcastico delle opere in questione.
E anche se tali caratteristiche sembrano essere quelle generalmente dominanti, in entrambe le cinematografie vi sono degli autori che prendono strade (parzialmente) diverse da quelle sopra descritte: in Romania è il caso di Corneliu Porumboiu, il quale sa distinguersi dai suoi contemporanei per ironia, leggerezza e una certa fissità delle riprese (si pensi al suo esordio A est di Bucarest); in Grecia è invece il caso di Athina Rachel Tsangari e Argyris Papadimitropoulos. La prima con Attenberg ha dimostrato di saper direzionare lo stile registico freddo della sua cinematografia per raccontare una storia più intima e meno metaforica; il secondo con Suntan ha realizzato un’opera capace di gettare uno sguardo anche duro sulla propria contemporaneità con uno stile narrativo e registico più classico e scorrevole, per certi aspetti più popolare e adatto al “grande” pubblico.

In ogni caso, la filmografia romena e quella greca hanno dimostrato in questi diciannove anni di essere le due “nuove onde” del cinema europeo contemporaneo per la loro capacità di riflettere sulla storia e sulla contemporaneità dei rispettivi Paesi adottando uno stile proprio, riconoscibile e, forse, anche “esportabile”: il cinema romeno sta almeno in parte influenzando – purtroppo anche negativamente – altri registi dell’Europa dell’est (vedi l’ucraino Slaboshpytskiy e il suo The Tribe), mentre Lanthimos sta intraprendendo una brillante carriera oltreoceano senza tradire eccessivamente la propria poetica, come dimostra il suo terzo film in lingua inglese, La favorita, che sarà probabilmente tra i titoli protagonisti dei prossimi premi Oscar.

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