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La commedia europea degli anni Duemila

sabato 26 Gennaio, 2019 | di Edoardo Peretti
La commedia europea degli anni Duemila
Europa 2000
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Teresa, è sempre tempo per una commedia!
È diffuso il pregiudizio sulla commedia che, usando una metafora visiva, può essere associato all’immagine dell’elettroencefalogramma piatto: una linea continua e monotona che segnala una medietà gradevole e dimenticabile estranea a qualsivoglia sguardo sul mondo. Secondo questa visione la commedia è un monolite. In realtà, sappiamo che il territorio della commedia è variegato; può alternare paesaggi dolci e rilassanti a paesaggi aspri e duri; può essere una via di fuga come un modo per sbattere con violenza la faccia contro la realtà. Anche perchè, inoltre, ha grande capacità di insinuarsi in altri generi.

Si prenda l’esempio di Ti presento Toni Erdmann di Maren Ade, uno dei film europei più politici degli ultimi anni. L’intera concezione del lavoro, degli affetti e della vita quotidiana contemporanea e “tecnocrate” viene messa in discussione da uno dei mezzi più antichi della comicità: il travestimento. Assistiamo al classico intervento di un corpo estraneo, anche esteticamente e visivamente, che destabilizza un contesto mettendolo in crisi, sollevando i suoi aspetti più problematici e le tensioni latenti. Il film della Ade è un film drammatico che usa sagacemente alcune delle armi tipiche del comico; forse non è davvero una commedia, ma di essa ha sicuramente più di un connotato.

L’ultimo ventennio di cinema europeo è del resto emblematico di ciò che accennavamo all’inizio. I vari filoni nazionali di commedie più leggere e tradizionali hanno convissuto con una serie di opere e autori più sfuggenti che hanno sfruttato le armi del paradosso, della farsa, del grottesco o la violenza dell’humour nero per intercettare questioni scottanti, dipingere antieroi, raccontare la mancata sintonia col mondo e dialogare col tragico.mediacritica_toni_erdmann_290 Per esempio, il cinema di Aki Kaurismäki è popolato da antieroi che vivono nelle zone d’ombra della società e che giocano con regole diverse da quelle dominanti. Senzatetto (L’uomo senza passato), vittime della globalizzazione e dei più cinici cambiamenti economici (Nuvole in viaggio), migranti (Miracolo a Le Havre e L’altro volto della speranza, dove avviene l’incontro con le solitudini e le marginalità autoctone) vengono ritratti da un umorismo laconico e straniante, ad un passo dal surreale senza mai davvero esserlo e che mai perde di vista la plausibilità di fondo. Battute paradossali e personaggi stravaganti esprimono la marginalità e sottolineano la crasi che esiste tra queste comunità di sconfitti e il senso e le concezioni più comuni. L’inconfondibile umorismo dell’autore finlandese è uno strumento per una presa di posizione sia “sentimentale” che politica – gli stralunati personaggi compiono scelte e azioni decisive, e la loro graduale consapevolezza fa della loro condizione una scelta consapevole e anarchica. Rimanendo in Scandinavia, il freddo cinismo e il distaccato black humour caratterizzano una serie di film realizzati tra Svezia, Norvegia e Danimarca. Il sarcasmo “nero” e il distacco cinico si contrappongono alla concezione idilliaca di una società spesso esaltata nei suoi aspetti più positivi come quella scandinava, apparentemente immacolata e in realtà ricca di zone d’ombra. È quello che accade per esempio nei drammi colorati di commedia di Roben Östlund: in Forza maggiore è la perfezione asettica della famiglia ad essere rovinata da un evento apparentemente senza conseguenze che però scopre il vaso di Pandora delle recriminazioni, mentre nel meno compiuto The Square viene scardinata la concezione di un’intera società, simboleggiata sia dalla crisi del protagonista sia dalla rappresentazione delle classi intellettuali “à la page”. Commedie più pure sono invece In ordine di sparizione del norvegese Hans Peter Molland, violenta farsa che racconta con toni quasi pulp e con umorismo “gelido” il retroterra criminale del paese, e LFO, inquietante commedia danese/svedese dove si ride di gusto e con disagio su un’interiorità ossessionata e alla deriva.

Mette ancora più a disagio la continua sfida al buon gusto, al politicamente corretto e alla verosimiglianza dichiarata dalla comicità spigolosa, a partire dalle sonorità techno che spesso la accompagnano, del francese Quentin Dupieux, autore per esempio di Rubber, con protagonista un copertone assassino, e di Wrong Cops, dove un gruppo di poliziotti lontani eredi dei “cops” di Mack Sennett sono testimoni delle peggiori pulsioni umane portate alle estreme conseguenze. Quella del regista/dj è una comicità dura, acre e provocatoria, esattamente come quella che caratterizza i film della coppia di registi francesi Benoît Delepine e Gustave Kervern. Qui la durezza e la sgradevolezza di personaggi e situazioni hanno un rapporto più diretto con l’attualità e la politica, esplicito nell’anarchico Louise Michel, dove un gruppo di operaie assolda un serial killer per uccidere il padrone, e più sommesso nell’amaro Saint-Amour, dove il rapporto padre/figlio e l’alcolismo imperante diventano testimonianza di un mondo allo sfacelo, condannato alla solitudine o alla fuga più alcolica che utopica. C’è inoltre, sempre Oltralpe, Bruno Dumont, il quale fa le pulci a una borghesia tarata e mostruosa con la farsa visionaria Ma loute e che con l’umorismo acre della serie P’tit Quintin compila una sardonico resoconto di meschinità e mediocrità quotidiane.

Sono esempi di come certa commedia europea abbia testimoniato e trasfigurato contesti, fisici, sociali e morali caratterizzati da un disagio sulle soglie dell’irrecuperabile. Sono commedie, totali o parziali, che tastano il polso ad una concezione dell’Europa in crisi identitaria, politica e sociale. Non a caso, molti esempi più estremi di questo utilizzo del comico arrivano dalle realtà storiche più dure e dalle cinematografie più spietate di questo ventennio. Ne La polveriera (1998) del serbo Goran Paskaljevic il grottesco portato alle estreme conseguenze fotografa l’odio radicato lascito del conflitto balcanico; nella nuova onda rumena l’ironia acida, esplicita (A est di Bucarest di Corneliu Porumboiu) o carsica (La morte del signor Lazarescu e Sieranevada di Cristi Puiu), è l’arma che scandaglia le contraddizioni del paese sospeso tra passato e presente, mentre nella Grecia messa in ginocchio le improvvise incursioni dello humour nero tolgono il fiato e rafforzano il grado zero dell’umanità rappresentato da molti film della “New Wave” ellenica.

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