SPECIALE WIM WENDERS
“Quando il bambino era bambino…”
L’insostenibile leggerezza dell’essere (un angelo) e la crudele pesantezza dell’uomo. In una Berlino attraversata dal muro della discordia, Wenders compone una liturgia di immagini evocative e meditazioni monologanti, attraverso le intermittenze coloristiche in un bianco e nero tonalità seppia.
Mantenendosi fedele alla cultura nomade e all’America dei generi (noir e poliziesco), Wenders, che da Prima del calcio di rigore (1971) a Hammett. Indagine a Chinatown (1982) ha creato un “Falso movimento” all’interno della sua poetica vagabonda – il viaggio come sola ricerca di spazi al di fuori di se, deprivato del suo statuto ontologico – con Paris, Texas inaugura una nuova fase, altamente americanizzata ma dalla forte connotazione stilistica europea. Il cielo sopra Berlino si colloca a tre anni di distanza dal film con Natassja Kinski e la sua cifra stilistica, racconto solido e struttura lineare, rappresenta l’ingresso del regista tedesco in un cinema di respiro mistico e dal taglio manierista, rivolto, come un requiem, all’Europa ferita dai traumi del passato. Due angeli “caduti”, anziché vegliare sui loro protetti, monitorano la realtà berlinese e vivono senza sentire niente, invisibili a tutti tranne che ai bambini. Uno dei due, Damiel (Bruno Ganz), rinuncia all’immortalità scegliendo di sperimentare la finitezza terrena. Gli incontri con una trapezista di un circo affamata d’amore e con un attore (Peter Falk nei panni di se stesso) sul set di un film sul Nazismo, lo convinceranno a farsi uomo. Con autenticità genuina e senza patetismi, Il cielo sopra Berlino trasferisce l’armonia domestica vagheggiata dai personaggi di Ozu in un “volere per l’altro” universale che schiude percorsi di conoscenza di se e dei propri simili, ancorandosi al cinema di ricerca in cui ciò che conta è il visibile dell’esperienza. La storia, scandita dai lampi in technicolor e dalle ricorrenze poetiche dei versi di Peter Handke, è osservata empaticamente dalla macchina da presa che svetta, come figura alata, sui simboli cittadini, sulla spianata deserta che, prima della Seconda Guerra mondiale, accoglieva la grandeur della Postdamer Platz, sui “fanciulli che trovano il tutto nel nulla e sugli adulti che trovano il nulla nel tutto”. Come “giganti sulle spalle dei nani”, gli angeli si fanno carne e assaporano il sangue, in un quieto vagare nella Berlino decadente di cui il regista restituisce lo zetgeist velato di malinconia, spazio-tempo fisico ed emozionale catturato da suggestive riprese aeree e carrelli avvolgenti. Chiamati in causa nel finale, i tre maestri di Wenders, Ozu, Truffaut e Tarkovskij fungono da numi tutelari cui affidare il lascito di un’opera a cavallo tra classico e moderno, in cui il racconto di formazione on the road si muta in poema neoromantico nel crocevia culturale della Berlino anni 80. Premio per la miglior regia a Cannes nel 1987.
Il cielo sopra Berlino [Der Himmel über Berlin, Germania 1987] REGIA Wim Wenders.
CAST Bruno Ganz, Peter Falk, Solveig Dommartin, Otto Sander, Didier Flamand.
SCENEGGIATURA Wim Wenders, Peter Handke, Richard Reitinger. FOTOGRAFIA Henry Alekan. MUSICHE Jürgen Knieper.
Fantastico, durata 130 minuti.