SPECIALE REBOOT
Riconoscersi
C’erano una volta Sean Connery e Roger Moore, gli 007 per antonomasia. Sono sempre stato un fan dei film della saga, visti e rivisti data l’età anagrafica in tv, trovando sempre nuovi spunti e nuove motivazioni per riguardarli. Su Pierce Brosnan stendo un velo pietoso. Poi nel 2006 è arrivato Daniel Craig, e le cose sono cambiate…
Casino Royale sancisce, come noto, la rinascita di una saga che aveva ormai raggiunto una saturazione di idee e che stava scadendo sempre più nel ridicolo, vuoi per un attore “sbagliato” o per un momento di stanca legittimo che si rivelava di film in film. Lo scetticismo iniziale nei confronti della scelta del nuovo 007 e la perdita di interesse da parte del pubblico sono stati ben presto superati. C’è uno studio ben preciso dietro il film di Martin Campbell che nasce proprio da Craig. Il nuovo Bond doveva riscendere tra gli “umani”, doveva essere un uomo vulnerabile sia fisicamente che moralmente, la storia in cui si muove è quasi normale e non sfrutta la demenzialità involontaria per sopperire ai buchi di sceneggiatura. Craig aveva la faccia e la dote artistica giusta, e la sua involontaria personificazione di un mito dismessa, seppur nel suo muscolare vigore, funziona tuttora. Ciò non ha modificato il fine ultimo del genere, cioè l’intrattenimento, ma anzi ha finalmente dato un taglio autoriale ad esso, come ormai ci hanno abituato in seguito anche i meri blockbuster. Cinema per tutti ma di qualità, in cui la forma è alla base di un discorso più ampio sulla possibile spettacolarizzazione del nostro oggi. Se nei precedenti capitoli il nostro eroe doveva dilungarsi solo in combattimenti con l’ausilio di effetti speciali, in Casino Royale una delle sequenze più coinvolgenti e di suspense è una tragica partita a poker, fatta di sguardi e sudore statico. Finalmente la morte è una verità che fa male, i sentimenti si fanno largo tra le pallottole e i pugni per combattere contro qualcosa di complesso in cui credere. Mai violenza e crudeltà sono stati usati come in questo Bond: lo spettatore è spiazzato, forse inizialmente, soffre e “fa amicizia” con il protagonista. Il distacco tra realtà e verosimiglianza è molto sottile. Tutto questo è reso anche dai dialoghi e dalle caratterizzazioni dei personaggi, su tutti la Vesper di Eva Green e il villain Le Chiffre che versano lacrime, di diversa natura, amaramente sofferte. Una rinascita che potrebbe essere accomunata a quella di Batman operata da Nolan: entrambi gli eroi si spogliano del loro costume, non per abbandonarlo ma per spiegarci che da esso non potranno mai staccarsi. Un discorso forse troppo complesso – o banale – da spiegare, ma che ha fatto la fortuna per entrambi i reboot, divenuti immortali. Quando poi nel finale di Casino Royale arriva la battuta “il mio nome è Bond… James Bond” arrivano i brividi.
Casino Royale [id., USA 2006] REGIA Martin Campbell.
CAST Daniel Craig, Eva Green, Mads Mikkelsen, Caterina Murino, Judi Dench, Jeffrey Wright.
SCENEGGIATURA Paul Haggis, Neal Purvis, Robert Wade. FOTOGRAFIA Phil Méheux. MUSICHE David Arnold, Chris Cornell.
Azione/Thriller/Avventura, durata 145 minuti.