American Crime Story, per chi non la conoscesse, è una serie tv antologica che nella sua prima stagione ci racconta i fatti inerenti al caso O.J. Simpson, che vide coinvolto il noto footballer americano in quanto accusato dell’omicidio dell’ex moglie Nicole Brown e del cameriere Ronald Goldman. Naturalmente, l’intento di questa serie è quello di configurarsi come un true drama che tratti solo e unicamente noti casi giudiziari e di cronaca.
La riflessione che ritengo sia importante condurre non ha però in realtà specificamente a che fare con la storia di O. J. Simpson quanto con il rapporto che intercorre tra la forma e il contenuto della messa in scena di questa crime story. Si ha la sensazione infatti che con il procedere degli episodi ogni personaggio acquisisca una sorta di valore simbolico e che il suo ruolo sia quello di produrre una torsione sul senso stesso della vicenda raccontata. Insomma, noi sappiamo che la storia narrata si ispira a fatti realmente accaduti e questo ci porta a fare un naturale confronto tra gli eventi fittizi e quelli reali. Ora il problema (nel caso si decida appunto di problematizzare questo argomento) è il seguente: dopo aver visto una serie tv come questa, cosa rimane del Reale? Cosa resta della verità? La forma “gonfia” e hollywoodiana con la quale si imbottisce, per forza di cose, anche tutta la sostanza di questo racconto, cosa trattiene con sé e cosa lascia fuoriuscire?
La questione principale potrebbe dunque essere quella relativa alla simbolizzazione stessa del Reale. Oggi che le immagini sono tutto, oggi che ci dicono sempre più come il mondo nella sua essenza è, rischiamo di perdere il contatto con la natura stessa delle cose. Se non facciamo attenzione, prodotti di questo tipo potranno, in un futuro non molto lontano, prendere il posto della Storia o addirittura annullarla. Serie come questa potranno sì dirci molto sul contesto socio-culturale di una determinata epoca in una determinata zona del Globo, ma potranno anche trasformare – se vogliamo essere un poco più drastici – personaggi realmente esistiti in entità simboliche senza referente alcuno. La svastica con la quale si conclude l’episodio dedicato all’interrogatorio del detective Furham – tanto per fare un esempio – potrebbe quindi diventare la parte per il tutto e indurci a realizzare collegamenti improbabili o, peggio ancora, potremmo identificare nella maniera di gigioneggiare dell’avvocato Johnnie Cochran tutta un’intera categoria di individui afroamericani. Sì, lo so, forse sto esagerando un poco, ma voglio lasciarvi con una domanda: non pensate che sarebbe forse consono incominciare ad affrontare la visione di questo tipo di produzioni essendo consapevoli ogni volta di tutto ciò che ne sta alla base, conoscendo quindi le vere storie dalle quali hanno avuto origine e rendendo così la generazione di forme simboliche a quel punto veramente efficace perché non più estrapolata da storie a noi sconosciute?