Fermi in autostrada
Uno degli aspetti che risalta con più forza ne L’ingorgo di Luigi Comencini è sicuramente quella sorta di sospensione quasi metafisica infusa sin dai primissimi minuti all’oggetto del suo dibattere. Quell’ingorgo, appunto, sembra essere astratto tanto è tangibilmente claustrofobico.
Lo spazio infatti è pullulante di corpi e automobili e si procede in un intrecciarsi di organico e meccanico che destruttura la continuità degli eventi. E quella stessa destrutturazione può apparire come una cosa scontata, visto che le automobili sono chiaramente assimilabili a cellule (e celle) nelle quali semplice risulta il gioco dell’isolamento di tutte le storie messe in scena, ma di sicuro non facile da realizzare. Invece Comencini sa dove porre gli accenti, sa quali figure mettere in risalto, sa come impostare alla perfezione la grande gabbia metaforica nella quale mostrare tutto quello che è necessario mostrare.
L’affresco che ne viene fuori è dunque la perfetta descrizione dell’Italia alla fine degli anni Settanta, con tutti i suoi pregiudizi, le sue storture, il suo degrado. Un’Italia che esce da anni di grande crisi e che sente ancora l’acre odore del terrorismo e delle strategie della tensione. Un’Italia che si impila su un’autostrada qualunque, immobile, da tutti i punti di vista. E allora dal ricco avvocato che pensa (senza andare tanto lontano dalla verità) che tutto ruoti attorno ai soldi all’attore che ormai sembra aver perso qualsiasi stimolo (lavorativo e sessuale), dalla coppia che festeggia le nozze d’argento senza amarsi più alla femminista stuprata da un trio di plausibili rampolli di agiate famiglie romane (ogni riferimento al massacro del Circeo sembra non essere casuale), l’umanità rappresentata si avviluppa, si confonde, si espone come una massa uniforme all’interno della quale è però possibile trovare frammenti che ben indicano la sostanza sociale di cui è composta. È la commedia all’italiana che giunge alla fine del suo percorso, con le maschere che puntano perfettamente il bersaglio, ma sono stanche, deturpate, forse però per questo motivo ancora più efficaci perché formalmente capaci di saper interpretare gli umori e le emotività dei tempi che corrono.
Insomma, L’ingorgo è senza dubbio uno dei grandi film del cinema italiano alla fine del decennio, perché sa trovare l’ampiezza del ritratto figurale e miscelarla con l’intensità di un racconto che ci parla di come, alle volte, sia importante considerare il fatto che si possa restare immobili nonostante si abbia tutti gli strumenti a disposizione per percorrere molti chilometri.
L’ingorgo [Italia 1978] REGIA Luigi Comencini.
CAST Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Orazio Orlando, Stefania Sandrelli, Gianni Cavina, Miou-Miou, Fernando Rey, Annie Girardot, Patrick Dewaere, Ángela Molina, Ciccio Ingrassia, Gérard Depardieu.
SCENEGGIATURA Luigi Comencini, Ruggero Maccari, Bernardino Zapponi. FOTOGRAFIA Ennio Guarnieri, Angelo Filippini, Mario Mazzoni. MUSICHE Fiorenzo Carpi.
Commedia, durata 121 minuti.