It’s not a reboot. It’s a comeback
Negli anni Novanta, in un mondo in cui convivono cartoni animati e umani, la stana coppia di scoiattoli Cip & Ciop è sulla cresta dell’onda grazie al successo del loro serial Rescue Rangers. Questo fin quando Ciop, stufo di passare sempre per spalla comica di Cip, non decide di lasciare lo show alla fine della terza stagione per prendere parte a uno spin-off tutto suo dal titolo 00-Ciop: si rivelerà un flop, tanto da essere cancellato dopo la puntata pilota. Trent’anni dopo, e (molto) lontani dalle luci della ribalta (Cip è un assicuratore, Ciop vive immerso nelle convention rievocanti i suoi giorni di gloria), il duo tornerà a far squadra per un’ultima straordinaria missione.
In principio fu Chi ha incastrato Roger Rabbit del 1988 a firma Robert Zemeckis, la cui narrazione neo-noir a tecnica mista regalò ai posteri un autentico gioiello postmoderno in grado di realizzare la più sfrenata fantasia di qualunque bambino cresciuto a pane e cartoni animati: far coesistere, tra le inerzie della caotica (e fittizia) Cartoonia, Topolino e Bugs Bunny, Paperino e Duffy Duck, Pippo e Gatto Silvestro, ovvero Disney e Warner Bros.
In un’unione folle, per certi versi sacrilega, ma talmente entusiasmante che a quel punto (e chiunque lo abbia visto lo sa già) era quasi impossibile tornare alla normalità di due franchise separati e autonomi. Trent’anni dopo – e con in mezzo il sorprendente ma dall’impari cifra artistica Space Jam – è la volta di Cip & Ciop: Agenti Speciali che di Roger Rabbit sembra quasi l’erede spirituale (se non qualcosina di più). Diretto da Akiva Schaffer (Hot Rod, Vite da popstar, Vicini del terzo tipo) – nome che ai più potrà dire poco ma che in America è quasi un’istituzione tra la sua militanza di lunga data nella writing room del Saturday Night Live (SNL) e l’essere, assieme ad Andy Samberg e Jorma Taccone, uno dei tre componenti del gruppo musicale parodistico The Lonely Island – è evidente come Cip & Ciop: Agenti Speciali rappresenti molto più di un semplice tassello da aggiungere alla già ricca (ma non particolarmente esaltante) filmografia del giovane Schaffer, ovvero un prezioso turning point in grado di elevarne le sorti.
È infatti un’opera di grande valore artistico e non unicamente per la sua impressionante e variegata presenza citazionista caratterizzata da omaggi a personaggi secondari/di contorno, proprio come lo sono Cip e Ciop in rapporto all’Universo Disney. Quello di Cip & Ciop: Agenti Speciali, un po’ alla maniera del meraviglioso Ready Player One, è citazionismo intelligente e brillante che nell’andare oltre una mera funzione ludica di appendice colorata, procede invece verso una ricodifica della significazione di conclamati elementi dell’immaginario collettivo in modo da risultare funzionali alla natura narrativa del racconto: un ambizioso meta-sequel in grado di irretire le tossiche inerzie di Hollywood e dei suoi meccanismi industriali tritatutto, qui esplicate tra bambini prodigio spazzati via perché troppo cresciuti (Peter Pan), coppie scoppiate alla maniera di Stanlio e Ollio (Cip & Ciop), personaggi sbagliati a cui dare nuova vita e dignità artistica (Ugly Sonic), omaggi a stili animati dimenticati come i primissimi I Simpsons del The Tracey Ullman Show o Pumbaa de Il Re Leone in live action e perfino del fandom e delle sue esigenze di revival urlate a suon di hashtag (Darkwing Duck).
Un’opera, quindi, solo apparentemente semplice nella sua spassosa dimensione buddy Cip & Ciop: Agenti Speciali, che nello svelare all’industria un nuovo modo di raccontare la nostalgia e nel farla rivivere nella contemporaneità, sembra essere quasi un gustoso antipasto a quel tanto rumoreggiato (ma ancora privo di tangibilità filmica) sequel di Chi ha incastrato Roger Rabbit che il mondo intero – il sognante mondo cinefilo perlomeno – chiede a gran voce da oltre trent’anni: che sia finalmente arrivata la volta buona?