Bambi goes to Africa
Con l’animo scisso in due tra la volontà di abbandonarsi ai ricordi e la necessità di un’analisi lucida e pertinente, il giovane critico si accomoda nella poltroncina della sala cinematografica ed estrae il suo block-notes.
Con fare serioso e compassato indossa gli occhialoni 3D e attende l’inizio della proiezione. Un piccolo brivido gli attraversa la schiena, alla visione del logo Disney; e alla prima scena del film, sulle note di Il cerchio della vita cantata da Ivana Spagna (tema musicale di Sir Elton John e Tim Rice) e mentre il mandrillo Rafiki mostra il leoncino Simba al branco, si toglie grevemente gli occhiali e… scoppia a piangere. Il re leone ha segnato la prima adolescenza e l’ufficiale “introduzione al cinema” di chi scrive, coadiuvato dagli altri titoli di una stagione cinematografica (anno 1994) a dir poco clamorosa: Pulp Fiction, Forrest Gump, Le ali della libertà, Léon, Ed Wood, Quattro matrimoni e un funerale, il più che sottostimato Una pura formalità e il Frankenstein di Kenneth Branagh. All’epoca si parlò di un successo andato ben oltre le aspettative dei creatori, di un “Bambi goes to Africa” abilmente ricalcato sulle tematiche dell’Amleto e del fatto che si trattasse del primo film in cui appaiono solo animali. A distanza di due decenni vale la pena ricordare che il 32° classico Disney è il secondo maggior incasso di sempre nella classifica dei lungometraggi animati (dietro a Toy Story 3), apice e al contempo “canto del cigno” di un modo di creare cartoon che di lì a poco sarà chiuso in un cassetto in nome dell’innovazione tecnologica. È forse al termine di questo ragionamento che il sottoscritto si è asciugato le ultime furtive lacrime dal volto, ha cercato disperatamente di recuperare un minimo di aplomb e s’è posto una domanda: dove finisce il concetto di restauro/riparazione e inizia quello di snaturamento dell’opera d’Arte? L’eccessiva pulizia dell’immagine con cui The Lion King si ripresenta al pubblico cozza inevitabilmente col disegno morbido, semplice e artigianale dell’originale, rischiando di corrompere le caratteristiche fondanti del lavoro iniziale. Oltre a ciò, l’ingombrante e obsoleta stereoscopia dà l’ennesima prova della sua irrilevanza. “Non sempre ciò che viene dopo è progresso”, diceva Alessandro Manzoni; ma è altrettanto vero che se rimasterizzare, digitalizzare e convertire alla terza dimensione sono davvero gli unici percorsi efficaci e “popolari” per salvare, divulgare e far rivivere pezzi intramontabili della storia del cinema, allora un giusto compromesso può essere la strada da seguire. Il Nuovo può ridare lustro e importanza al Vecchio? Sì, a patto però di non fagocitarlo.
Il re leone [The Lion King, USA 1994] REGIA Roger Allers, Rob Minkoff.
CAST (DOPPIATORI ORIGINALI) Jonathan Taylor Thomas, Matthew Broderick, James Earl Jones, Jeremy Irons.
CAST (DOPPIATORI ITALIANI) George Castiglia, Riccardo Rossi, Vittorio Gassman, Tullio Solenghi, Tonino Accolla.
SCENEGGIATURA Irene Mecchi, Jonathan Roberts, Linda Woolverton. MONTAGGIO Ivan Bilancio. MUSICHE Hans Zimmer, Elton John, Tim Rice.
Animazione, durata 89 minuti.