Non c’è più religione
La prima scena di Calvario, il secondo lungometraggio di John Michael McDonagh, fratello del più celebre Martin (In Bruges, 7 psicopatici), fa pensare di essere davanti a un grande film.
All’interno di un confessionale, ecco l’intenso primo piano di Padre Lavelle mentre ascolta il tormento di un uomo vittima nell’infanzia degli abusi sessuali di un prete, un tormento che si conclude inaspettatamente in minaccia di morte verso il confessore: come rappresentante della Chiesa pagherà le violenze del pedofilo. Una settimana, questo il tempo che l’uomo misterioso lascia al religioso per prepararsi all’espiazione di una colpa non sua. Sette decisive giornate che seguiamo al fianco del protagonista, parroco di una piccolissima comunità nelle campagne irlandesi popolata da un’umanità cinica, stravagante e abbietta. Lo stesso Lavelle non è un prete comune: presi i voti dopo essere rimasto vedovo, è padre di una figlia problematica, reduce da un tentato suicidio. Calvario ha buone premesse, ma si perde progressivamente per l’incapacità del regista di prendere una precisa direzione: né commedia nera, né film drammatico, né thriller, ma una mescolanza continua dei toni che finisce per appesantire un’opera che sconta anche la poca fluidità di un montaggio dai troppi stacchi gratuiti. Peccato, perché l’idea di partenza era interessante: riflettere, in un Paese fortemente cattolico come l’Irlanda, sulla perdita di centralità della religione nella vita delle presone, con una Chiesa che suo malgrado abdica al ruolo di guida spirituale della comunità. Una sconfitta di cui si fa simbolo Padre Lavelle, addirittura privato del rispetto dei suoi parrocchiani e di concittadini che gli dimostrano senza remore un’aperta ostilità. Il suo personale calvario è lastricato di minacce e provocazioni, con l’aggravante del misterioso vendicatore che si accanisce su di lui, in attesa del momento fatidico, incendiando la chiesa e sgozzandogli l’amato cane. Peccato che il tono del racconto rimanga confuso ed equivoco, a differenza per esempio di Le mele di Adamo di Jensen (palese fonte d’ispirazione) che coglieva nel segno attraverso una scelta netta nella direzione dell’umorismo nero e dello sberleffo dissacrante. Qui McDonagh tocca tasti realmente problematici (gli abusi sui minori all’interno della Chiesa) ma senza approfondire, perdendosi nei troppi personaggi di contorno che quasi sempre finiscono per rimanere macchiette sopra le righe con poche battute davvero azzeccate e taglienti. In tutto questo ecco affievolirsi anche le potenzialità del thriller, dove l’aspirante assassino dà segnali della sua presenza troppo sporadici nell’attesa di una rivelazione dell’identità che non appare né prevedibile né inaspettata: semplicemente non interessa più di tanto. Un ispirato Brendan Gleeson, fortunatamente onnipresente, non rende il film un calvario per lo spettatore, ma non può impedire che rimanga la forte sensazione di un’opera dal potenziale sfruttato solo in parte.
Calvario [Calvary, Irlanda/Gran Bretagna, 2014] REGIA John Michael McDonagh.
CAST Brendan Gleeson, Chris O’Dowd, Kelly Reilly, Aidan Gillen, Domhnall Gleeson.
SCENEGGIATURA John Michael McDonagh. FOTOGRAFIA Larry Smith. MUSICHE Patrick Cassidy.
Drammatico, durata 102 minuti.