“Zero must equal 100%”
Con un ritardo di tre anni e una distribuzione estiva che taglia le gambe a qualsiasi prospettiva economica, arriva in Italia l’ultima fatica di Terry Gilliam, The Zero Theorem, un film che potrebbe attirare il pubblico degli affezionati del regista di Brazil se questi non lo avessero già scaricato da tempo per vederlo in lingua originale.
Qohen Leth (Christoph Waltz) è un programmatore di grande talento ma alienato dal resto del mondo e terrorizzato dalle interazioni sociali, che si muove sullo sfondo di una grande metropoli interculturale. Un giorno, Management (Matt Damon) lo incarica di lavorare sullo Zero Theorem, un’equazione infinitamente complessa che, se dimostrata, proverebbe che la somma degli elementi dell’universo è pari a zero e quindi, per estensione, che l’esistenza è vana. Il capitale, insomma, finanzia la ricerca ma cela il profitto e utilizza gli individui più isolati perché non fanno domande e sono prevedibili. In ogni caso, Qohen accetta l’incarico senza rifletterci troppo su, nonostante aspetti da anni la telefonata di un misterioso individuo che dovrebbe rivelargli il senso della sua vita. Qohen naviga tra i numeri usando un joypad e risolve lo Zero Theorem un pezzetto per volta, guidando i mattoncini che compongono l’espressione come in un videogioco di battaglie spaziali. È un personaggio esistenziale ma, allo stesso tempo, estremamente semplice: vuole solamente lavorare in pace e ricevere la telefonata che gli rivelerà il senso della sua vita. Ha solo due bisogni ed entrambi sono sistematicamente frustrati perché la telefonata non arriva ed è continuamente interrotto da scocciatori quando tenta di concentrarsi sul lavoro. Il mondo sembra congiurare contro la tranquillità di Qohen, la sua analista virtuale (Tilda Swinton) si manifesta sempre al momento meno opportuno e Management gli impone la compagnia di Bob, suo figlio e prodigio dell’informatica. I mesi passano e l’indifferenza di Qohen per lo Zero Theorem comincia a vacillare. La sua inquietudine si manifesta, infatti, attraverso l’incubo ricorrente di un colossale buco nero che inghiotte l’esistenza. The Zero Theorem aggiorna all’era degli iPhone la fantascienza distopica di Brazil; lo sporco steampunk artigianale lascia il posto ai colori accesi della realtà virtuale mentre la narrazione kafkiana che raccontava l’eccesso di burocrazia diviene isolamento del programmatore di mezza età, che lavora da casa e mangia pizza a domicilio. Il film soffre, però, di forti schematismi che ne banalizzano il contenuto esistenziale, già un po’ fuori tempo massimo, e bisogna notare che lo stile surreale e ironico di Terry Gilliam non è più così rilevante com’era trent’anni fa.
The Zero Theorem – Tutto è vanità [The Zero Theorem, Gran Bretagna/Romania/Francia/USA 2013] REGIA Terry Gilliam.
CAST Christoph Waltz, David Thewlis, Mélanie Thierry, Matt Damon, Tilda Swinton.
SCENEGGIATURA Pat Rushin. FOTOGRAFIA Nicola Pecorini. MUSICHE George Fenton.
Drammatico/Fantascienza, durata 107 minuti.