Garibaldi fu ferito…tante volte
Piazza Garibaldi di Davide Ferrario, passato a Venezia e distribuito alla chetichella, è un film dolente, quasi sconsolato. Il documentario vede lo stesso regista e lo storico Giorgio Mastrorocco ripercorrere l’itinerario compiuto dai mille di Garibaldi, partendo da Bergamo, che fornì un buon numero di giovani entusiasti, passando da Pavia, per rendere omaggio al sacrificio dei fratelli Cairoli e alla figura della madre, e arrivando ai luoghi della guerra condotta da Garibaldi.
Tra un capitolo e l’altro sentiamo recitate le memorie e gli scritti di chi era tra i mille, dove l’entusiasmo, la consapevolezza di partecipare alla storia, la forza dell’idealismo convivevano con le reazioni spiazzate all’incontro con il paesaggio e le figure del sud, così diverse dagli orizzonti e dalla società a cui erano abituati. Il film di Ferrario non è una lezione in immagini di storia del risorgimento, né tantomeno vuole essere celebrativo: ripercorrendo il percorso dei mille, il regista veneto vuole parlare dell’oggi, ponendosi soprattutto una domanda: perché l’Italia sembra non avere e non sentire un futuro? Cerca anche di capire le contraddizioni del paese, per esempio perché cultura e senso del bene pubblico hanno un ruolo così defilato nella nostra vita quotidiana, o il perché di movimenti locali che millantano secessioni. È proprio dando risposte a questi quesiti che Piazza Garibaldi diventa un film dolente, nonostante la considerazione finale con cui il regista cerca di dare un po’ di ottimismo notando la presenza di molte minoranze valide e che grandi momenti della nostra storia sono stati fatti proprio da minoranze. È forse proprio mostrando la situazione che il regista cerca di creare lo sdegno, e spingere così alla riflessione e all’agire dei singoli. Altrimenti l’Italia rischia di finire come la Traviata di Verdi, le cui musiche accompagnano tutto il film: capace solo di un ultimo grande acuto prima di morire. Uno dei problemi fondamentali è il rapporto con il passato , inesistente, irrisolto e viziato dall’assenza di riflessioni diffuse e riconosciute,: è mostrato un sostanziale disinteresse, che porta all’ignoranza, al menefreghismo o a strumentalizzazioni di vario tipo: questo disinteresse si mostra anche nella non cura del patrimonio artistico, paesaggistico e urbanistico, che diventano a livello visivo come uno “specchio dei tempi”. Naturalmente, a ciò è collegato, sia come causa che come conseguenza, l’assenza di una riflessione sulla nostra identità, sulla nostra natura di popolo. Come si dice ad un certo punto: “solo chi non ha memoria è costretto a inventarsi le proprie radici”, oppure come sostiene lo scrittore Milani: “La letteratura italiana non è mai stata epica perché agli italiani non interessa la realtà”. Nel film intervengono Marco Paolini, Filippo Timi, Luciana Littizzetto e Salvatore Cantalupo a recitare brani di intellettuali e scrittori (Saba, Leopardi, Villari e Bianciardi) utili per sottolineare le tematiche del film.