Vai così, Lily!
I dublinesi Rosie e Alex, coetanei e per giunta vicini di casa, sono cresciuti quotidianamente in simbiosi fin da piccolissimi condividendo praticamente ogni loro successo e insuccesso attraverso un ininterrotto flusso comunicativo coaudiuvato da, per così dire, dei supporti tecnologicamente variegati.
Arrivati alla maturità anagrafica continuano ostinatamente a non voler ammettere l’evidente reciproca attrazione fisica: quando durante una festa ad alto tasso ormonale e alcolico si scambiano il loro primo bacio Alex, ferito dal fatto che Rosie non ricorda assolutamente nulla, decide di corteggiare la compagna di classe più disinibita per farla ingelosire. Ed è proprio così che il loro idilliaco rapporto d’amicizia inizia a incrinarsi, tra scaramucce, ripicche e incomprensioni irrisolte, tutte cose che sembrano ulteriormente insormontabili quando Alex si trasferisce a Boston.
Riuscirà l’amore a farli riavvicinare e smentire il diffuso pregiudizio secondo il quale non può esistere un’amicizia genuina tra uomo e donna? Non è la prima volta che uno scrittore è direttamente coinvolto nella sceneggiatura di film ispirati da un suo capolavoro: qui però, diversamente da quanto ad esempio è accaduto ne Il diario di Bridget Jones (dove lo spirito istrionico e impertinente del romanzo della Fielding è sempre palpabile e ugualmente coinvolgente), la romantica liaison a distanza sembra soltanto una scolorita versione su pellicola dell’importante storia d’amore intrattenuta fermo posta dai protagonisti su carta. Privata del tutto dei rimandi a più livelli che impreziosivano il romanzo (e invece solo sommessamente intravisti nel film), la trasposizione cinematografica non riesce purtroppo manco a soddisfare appieno le aspettative degli entusiasti lettori che – avendo adorato la romantica storia d’amore consumatasi tra le pagine del secondo bestseller della Ahern – dopo anni bramavano finalmente di vedere i loro beniamini sul grande schermo. Stando alla superficiale eviscerazione delle tematiche potenzialmente legate a una così intricata situazione affettiva, Ditter sembra aver confezionato un tv movie piuttosto che un film destinato alle sale cinematografiche. Ma i paragoni non finiscono qui, perché la Collins, pur sfoggiando delle folte sopracciglia in stile Brook Shields (forse un po’ démodé per gli stilemi odierni), fortunatamente tiene in piedi tutta la baracca grazie alla sua non comune profondità dello sguardo, che a mio avviso ricorda sempre più quello di Anne Hathaway (altra figlia d’arte di razza similmente provvista di un paio di castani e languidi occhi da cerbiatto). Provare per credere: è infatti praticamente impossibile contare l’elevato numero di primi piani che il regista dedica alla sua eccezionale espressione facciale.
#ScrivimiAncora [Love, Rosie, Germania/Gran Bretagna 2014] REGIA Christian Ditter.
CAST Lily Collins, Sam Claflin, Christian Cooke, Tamsin Egerton.
SCENEGGIATURA Juliette Towhidi, Cecelia Ahern (dal suo romanzo omonimo). FOTOGRAFIA Tony Cranstoun. MUSICHE Matthew Wengenmayr.
Sentimentale, durata 102 minuti.