Lavare le mani
Si parte dal finale immaginato di Buongiorno notte con Moro che è riuscito a scappare, per poi vedere le strade di Roma in rivolta con fumo, persone a volto coperto e sirene della polizia dalla visuale della porta di ingresso di un negozio di fronte ai manifesti di Anima persa di Dino Risi.
Esterno notte, la serie di Marco Bellocchio di cui sono uscite adesso al cinema le prime tre puntate, è la narrazione di un’anima persa, non tanto nel senso letterale del titolo del film di Risi, ma per la sua trama fatta di persone che vivono un’esistenza malata figlia di conflitti psicologici mai risolti, situazione analoga a quella in cui versava il nostro Paese durante il rapimento Moro.
Esterno notte però non è solo il racconto di quei tragici giorni ma, è anche la cronaca dettagliata di ciò che siamo stati e ancora saremo: uno Stato che fatica a fare i conti con le contraddizioni interne e che ciclicamente ha bisogno di martiri per “far cambiare” le cose. Il sequestro e il delitto, dopo il punto di vista delle BR e del presidente stesso in Buongiorno notte, diventano qui un racconto polifonico che in queste prime puntate è quello “quotidiano” di un Moro allucinato e colpevole (Fabrizio Gifuni che, dopo averlo interpretato già al cinema per Giordana e a teatro attraverso il reading sulle lettere dalla prigionia, ne ha affinato il mimetismo), di Cossiga (un credibile e umanissimo Fausto Russo Alesi) e, infine, quello incredulo e sofferto di Papa Paolo VI (Toni Servillo). Punti di vista “esterni” a cui Bellocchio, ossessionato da una delle pagine più nere della nostra storia, si affida con una lucidità e una potenza di messincena disarmanti nella loro cura e nella loro franchezza di sguardo. È ancora importante scavare, rivangare il passato, raccontare tutto per analizzare ciò che avvenne quel 16 marzo 1978 non per cercare colpevoli o misteri irrisolti ma per comprendere che la causa fu una sola: l’Italia, la sua ingordigia mediatica e politica e le sue paure mosse dall’illogica del potere. Moro conosceva tutto ciò ed è esemplare il primo episodio in cui egli stesso accuratamente si lava le mani quando entra in casa e ordina di farlo alla figlia. Pulirsi per riconoscere che le colpe sono di tutti, anche dei più immacolati; e lo capisce bene Cossiga quando vede apparire delle macchie immaginarie sulle sue mani all’indomani del sequestro, quasi come quelle impossibili da lavare di Lady Macbeth. Bellocchio maneggia come pochi oggi anche la serialità e realizza, dopo 19 anni, un’altra opera epocale sul presidente democristiamo, mescolando e romanzando, senza stereotipi o furbate, il risaputo e la “novità” dei rapporti tra i protagonisti, la famiglia e i politici, tra le posizioni di facciata e le situazioni quasi surreali in cui tutti si mossero in quei giorni. La regia non si perde in lirismi particolari ma sa catturare lo spettatore con sequenze che entreranno nella storia, come quella magnifica Via Crucis con un Moro/Cristo che sorregge una croce troppo grande per lui sotto lo sguardo impassibile dei suoi “amati” colleghi di partito. Un atto d’amore nei confronti del nostro Paese, una notte metafisica che merita ancora di essere ricordata come un racconto da tramandare. Psicologico, onirico, storico, originale, bellocchiano fino al midollo. In attesa che il cerchio si chiuda con le prossime puntate.