Amazzoni e sfilate: della scoperta della donna
È sempre più difficile commentare in modo critico i film che fanno parte del filone cine-comics, perché hanno sempre meno a che fare con il cinema, almeno classicamente inteso. Wonder Woman di Patty Jenkins, nuovo capitolo del percorso Warner/DC Comics che porterà alla Justice League (ovvero la risposta della concorrenza agli Avengers), ne è l’ennesima prova.
Il film racconta le origini di Diana Prince, ovvero una principessa amazzone lontana dal mondo che diventerà eroina quando un militare americano, Steve Trevor, entra nell’isola in cui lei vive e la coinvolge nella Prima Guerra Mondiale: lui vuole sconfiggere il Kaiser, lei Ares, il dio della guerra. Tipica origin story scritta da Allan Heinberg con Zack Snyder (anche produttore) e Jason Fuchs, Wonder Woman è innanzitutto il tentativo di costruire un immaginario supereroico a misura di donna. Il film di Jenkins infatti oltre a raccontare di una principessa e di una guerriera, racconta anche di una donna che passando da un sistema culturale all’altro deve ricalibrare il proprio concetto di femminilità e confrontarlo con i suoi propri valori: le scene migliori sono quelle in cui la protagonista cerca di capire cosa significhi essere donna – e cosa sia fisicamente un uomo – nell’Inghilterra degli anni Dieci, il comportamento, l’abbigliamento, questo anche perché Gal Gadot è perfetta come corpo e viso da indossatrice, ma ha molto meno carisma come combattente. Il film cerca di concentrarsi su aspetti inusuali per un film del genere, ma purtroppo la scrittura e la regia non supportano le ambizioni di una pagliacciata che si crede mitologica. Di fronte però all’entusiasmo critico proveniente dagli USA e dagli spettatori, che si divertono molto, viene da cercare un modo nuovo per poter capire e giudicare queste opere, che guardando a un pubblico che con il cinema non ha (o non ha più) molto a che fare, hanno canoni critici e categorie di giudizio diversi. Perciò la grana grossa degli effetti speciali e degli ambienti non è più un problema perché il riferimento è la palese artificiosità dei cartoon televisivi o la “digitalità” dei videogiochi; la drammaturgia inesistente diventa meno pregnante dei riferimenti a episodi precedenti e successivi, dei passaggi interminabili per presentare i personaggi; le scene d’azione puntano all’accumulo e al marchio visivo (i ralenti à la Snyder), non alla riuscita coreografica. E se i cattivi non hanno ormai più alcun senso né fascino, tanto che nessuno se li ricorda più, è perché Wonder Woman non è più un film, nemmeno un film di “largo consumo”: è un artefatto di massa che va disegnato, prodotto, venduto. E nessuno a un oggetto qualunque chiederebbe ciò che si chiede a un film, né a un operaio di essere un regista.
Wonder Woman [id., USA 2017] REGIA Patty Jenkins.
CAST Gal Gadot, Chris Pine, Robin Wright, David Thewlis, Connie Nielsen.
SCENEGGIATURA Allan Heinberg, Zack Snyder, Jason Fuchs. FOTOGRAFIA Matthew Jensen. MUSICHE Rupert Gregson-Williams.
Fantasy, durata 141 minuti.