Mai più davvero lo stesso
Cosa c’è da dire di una semplice e comune scatoletta di fiammiferi? In teoria, non molto. In teoria, perché la scatoletta può diventare fonte d’ispirazione per una poesia, come nel caso di Poesia d’amore, componimento che Ron Padgett ha scritto per Paterson di Jim Jarmusch e che, per dire, ad un certo punto recita così: “Così sobrio e furioso e caparbiamente pronto/A esplodere in fiamme/Per accendere, magari, la sigaretta della donna che/ami/Per la prima volta/E che dopo non sarà mai più davvero lo stesso”.
Una cosa simile vale per il film di Jarmusch: apparentemente sembrerebbe non esserci molto da dire e da analizzare, tanto Paterson avanza con semplicità, leggerezza e grazia. Sarebbe forse sufficiente dire che è bellissimo. Anche in questo caso però, così come la comunissima scatoletta di fiammiferi si trasforma in straordinario atto d’amore, la grazia e la semplicità più immediate del film sono continuamente messe in discussione da scarti e vie di fuga, a partire da quello principale che costituisce l’essenza dell’opera: la differenza tra la quotidianità più ripetitiva e la maniera per renderla ogni giorno in qualche modo diversa, incarnata nell’atto della creazione poetica, di cui il film coglie l’essenza. È questa l’ottica con cui il regista racconta la settimana vissuta da Paterson, autista d’autobus che vive nella cittadina a lui omonima di Paterson e che ogni giorno compone una poesia. Le sue giornate scorrono apparentemente identiche, ma ogni giorno trova qualcosa di diverso, non solo per la scappatoia concessa dalla poesia. Il minimalismo distaccato e stravagante tipico di Jarmusch, da sempre aperto al perturbante che annacqua la realtà e da sempre sinonimo di realismo apparente ma in realtà per niente tale (che qui pare non a caso occhieggiare all’arte di Edward Hopper), si rivela perfetto per raccontare le continue vie di fuga e la continua tensione tra realtà effettiva e realtà rielaborata che caratterizzano il protagonista e gli altri personaggi. Si vedano non solo i momenti in cui, con la sovrapposizione sul “quotidiano” delle parole delle poesie e degli oggetti che ispirano i componimenti, viene raccontato l’atto della creazione poetica, ma anche, per esempio, le velleità artistiche e culinarie della moglie, i racconti del barista, gli incontri e i personaggi secondari quasi paradossali e le azioni del cane Marvin (osservatore e in qualche modo deus ex machina della vicenda). Jarmusch realizza così un film dal perfetto equilibrio formale (si noti la geometria che caratterizza quasi ogni inquadratura), tematico e “d’atmosfera”, in cui convivono malinconia e serenità, commozione e sorriso. Un film lievissimo e travolgente, come – sarà pure banale dirlo, ma fa niente – una bella poesia.
Paterson [id., USA 2016] REGIA Jim Jarmusch.
CAST Adam Driver, Golshifeth Farahani, Barry Shabaka Henley, Rizwan Manji.
SCENEGGIATURA Jim Jarmusch. FOTOGRAFIA Frederick Elmes. MUSICHE Carter Logan.
Drammatico, durata 113 minuti.