SPECIALE PAUL VERHOEVEN
Questione amorale
Michèle Leblanc, manager di un’azienda di videogame, viene violentata brutalmente nella sua abitazione. Tornata alla solita routine, tra schermaglie verbali col figlio e uscite insieme all’amica, all’amante e all’ex marito, la donna sembra razionalizzare l’accaduto fin quando il ritorno dello stupratore non innesca una sfida al gatto e al topo.
Solo che il topo non è Elle. Non solo per i guizzi felini dell’interpretazione memorabile di Isabelle Huppert, corpo vellutato e tagliente, ma anche perché è proprio la protagonista imperturbabile a mettere in scacco il suo nemico in un torbido stillicidio psicologico. Alle (re)azioni delle altre donne di Verhoeven – dall’emancipazione di Kitty Tippel nella pellicola omonima del 1975 alla “triplice intesa” di moglie, amante e lolita in Tricked – subentra la rielaborazione del tragico sotto forma di narrazione eversiva. La realtà che irrompe in Elle, volutamente poco verosimile e artificiosa, sembra il resoconto romanzesco del trauma trasfigurato in commedia à la française, con il potere alchemico della trasmutazione: dell’orrore in divertissement, del patetico in farsa sofisticata. Siamo quasi spronati a chiederci se quello che vive Michèle, viaggio di scoperta e redenzione di se stessa contro il nemico nell’ombra e contro un passato di nefandezze familiari, sia reale o solo immaginario. Che sia solo un inganno svelato fin dalla prima sequenza, poco importa; in fin dei conti è nelle corde del cineasta considerare la vita stessa un tranello feroce e spietato. Lo stupro diviene quindi atto epifanico e metafora della società psicogena, mentre le molte vite della donna si ripercuotono in un corto-circuito di dolore insozzato dal sangue paterno e da una perversione congenita agitata da fantasmi hanekiani. Elle acquista così la valenza di pronome personale con intorno un universo grottesco denso di significati: madre di un figlio impacciato, oggetto sessuale di un collega, manager di successo, vittima e carnefice di uno stupratore seriale. Dal bordello marziano di Atto di forza, Verhoeven ci conduce nuovamente nel postribolo, stavolta orbitante nella caricaturale borghesia transalpina in cui Michèle è dominatrix assoluta: cuore raggelato, mente lucida, inabile al martirio. A nutrirsi di ogni scoria impazzita di amoralità è proprio l’antieroina che, come la realtà virtuale in cui sguazza libera, diventa espansione della libido sfidando ogni convenzione imposta. E pensare che in Oh…, racconto di Philippe Djian a cui si è ispirato David Birke per trarre lo script del film, Michèle non è più la cinica manipolatrice di pericolosi giochi digitali, ma il capo di una ditta di sceneggiature cinematografiche. La vita, sembra dirci da anni il regista, si guarda attraverso lo schermo e talvolta si lascia anche (ferocemente) giocare.
Elle [Id., Francia/Germania 2016] REGIA Paul Verhoeven.
CAST Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira.
SCENEGGIATURA David Birke (tratta dal romanzo di Philippe Djian Oh…). FOTOGRAFIA Stéphane Fontaine. MUSICHE Anen Dudley.
Drammatico/Commedia/Thriller, durata 130 minuti.