Quell’elefantino inaspettato
«Quelle orecchie devono sparire!». Questo dice Medici (Danny DeVito) a Holt (Colin Farrel) – tornato dalla guerra, senza un braccio, al suo circo e dai suoi figli, Milly e Joe –, scoprendo che il suo elefantino, su cui ha puntato tutto, ha un difetto, delle enormi orecchie.
Parte proprio da questo eccesso Dumbo, la pellicola di Tim Burton che prende le mosse dal film animato di Walt Disney, traducendolo nella propria lingua. Lo spettatore ha delle aspettative quando sa che il padre di Edward mani di forbice torna al cinema con un personaggio che sembra già sulla carta un suo eroe tipico. Il regista vuole fare di Dumbo, l’elefantino volante, uno dei suoi tanti freak, lo si comprende fin dall’inizio quando il cucciolo emerge dal giaciglio. Quella visione infrange i sogni di Medici che si aspettava di poter risorgere dalle ceneri grazie a quel cucciolo che nello stato in cui è non può essere l’attrazione dello spettacolo (il primo incontro tra la stella e il pubblico è fallimentare: lo irride e lo insulta). Dumbo deve essere percepito come un diverso, uno che produce una falla nel sistema che è già pericolante alla base – tutti sono mancanti di qualcosa, chi di un braccio, chi della mamma, chi di successo e denaro; la mancanza è qui la norma –, ma è anche chiaro che lo spettatore è dalla parte di Dumbo e che i circensi saranno per lui una famiglia, primi fra tutti Milly e Joe, per lui amici, genitori, maestri. Tutti provano amore per quel cucciolo che gioca con le piume e che così riesce a librarsi in aria e proprio la conoscenza dell’uno con gli altri diventa motivo di miglioramento (i circensi trovano pace, serenità, famiglia, si riscopre la libertà).
Burton prende la favola dell’elefantino che sa volare e che usa una “lacuna” facendola diventare qualcosa di diverso e punto di forza: Dumbo diventa la stella di Dreamland, un famoso parco di divertimenti, è gadget amato da grandi e piccini. C’è qualcosa che non torna però, soprattutto nella seconda parte: ciò che si vede sullo schermo non è proprio il film che ci si sarebbe aspettati. Burton prende la pellicola del ’41 ma non la imita; ci sono citazioni, riferimenti, elementi in comune tra il Dumbo animato e quello in live action – la tenerezza del cucciolo, la scena degli elefanti rosa, la canzone Bimbo mio con cui Mamma Jumbo culla Dumbo –, Burton però non crea una lirica su un outsider, bullizzato dal mondo e neppure un racconto del sogno americano. Questo Dumbo è una narrazione di libertà e di famiglia che se funziona proprio nel personaggio dell’elefantino, appare forzata nel contorno, risultando alla fine un film che sarebbe potuto essere molto più riuscito, sfrondato del superfluo.
Dumbo [id., USA 2018] REGIA Tim Burton.
CAST Colin Farrell, Michael Keaton, Danny DeVito, Eva Green, Alan Arkin.
SCENEGGIATURA Ehren Kruger. FOTOGRAFIA Ben Davis. MUSICHE Danny Elfman.
Fantasy, durata 112 minuti.