SPECIALE TARDA PRIMAVERA (E ALL’IMPROVVISO SEI VECCHISSIMO)
Young and innocent
Dalla Roma di estenuante splendore architettonico de La grande bellezza Paolo Sorrentino passa alla più anonima Svizzera, sempre fotografata dall’impeccabile Luca Bigazzi, che sovente isola i solitari protagonisti in pittorici campi lunghi dove il paesaggio, naturale o no, sovrasta l’umano.
Dall’ammiccante descrizione del neocafonal capitolino nel film precedente, si passa nel più intimista Youth, che è anche film di attese, di sguardi e primi piani, ai problemi esistenziali di un gruppo di artisti (anche del pallone: Maradona! O della levitazione: il monaco buddista) in crisi o in declino – compreso il giovane attore (un convincente Paul Dano) prigioniero del ruolo di un robot in un film commerciale -, tutti in vacanza nel lussuoso hotel svizzero dov’è ambientato quasi tutto il film. Come si capiva anche dal sottovalutato This Must Be the Place, nelle coproduzioni internazionali Sorrentino non perde minimamente il suo stile, caratterizzato soprattutto dalla forte presenza di musiche eterogenee, dai dialoghi ricchi di frasi ad effetto e continuamente oscillanti tra aforismi, citazioni letterarie, cazzeggio filosofeggiante e banalità, infine – ed è probabilmente ciò che più infastidisce i suoi feroci detrattori, che preferiscono cineasti più rigorosi e sobri – dal gusto spettacolare, formalista delle immagini e dai movimenti di macchina virtuosistici. Non mancano le scene oniriche, in Youth; c’è un videoclip di Paloma Faith, che, come fanno qui nelle loro performance musicali Mark Kozelek e Sumi Jo, interpreta se stessa; c’è anche un’allucinazione del regista Mick (Harvey Keitel), che vede davanti a sé, nei loro abiti di scena, tutte le attrici dei film di vario genere che ha diretto. Insomma, i momenti di fuga dalla realtà, principalmente verso il passato, dove Sorrentino visivamente si può sbizzarrire, ci sono, ma anche nella concreta e quotidiana routine dell’hotel – il tempo, tema chiave del film, che sembra non passare mai o che si ripete sempre uguale – la cinepresa spesso si diverte a soffermarsi, con sguardo circense, sui corpi degli individui, inquadrati in azioni grottesche, come la massaggiatrice giovanissima, con l’apparecchio ai denti, che balla She Wolf di David Guetta e Sia. La stessa ragazza che, in questo film in cui la maggior parte dei personaggi, pessimi padri, coniugi glaciali o figli allo sbando che siano, non riesce ad esprimere le proprie emozioni nemmeno in presenza dei propri cari, spiega al compositore Fred (Michael Caine) l’importanza del contatto fisico come forma di comunicazione più potente della parola. Qualche scena dopo, non a caso, si ascolta la voce, extradiegetica, del grande Bill Callahan che all’inizio di The Breeze canta proprio “I’d like to touch you, but I’ve forgotten how”. L’apatico Fred, che ha fatto di tutto per non diventare un intellettuale e nella vita riesce a comprendere solo la musica, dice a un certo punto “le emozioni sono sopravvalutate”, mentre per il suo amico/doppio Mick, che vuole girare il film L’ultimo giorno della vita, le emozioni “sono tutto quello che abbiamo”. E con sottile sadismo cinefilo, è una cover della Reality de Il tempo delle mele a diagnosticare in musica ai protagonisti, vecchi che forse non sono mai cresciuti, l’incapacità di vivere la realtà e il presente, la nevrosi di una nostalgia mutatasi in cronico e rassegnato disadattamento.
Youth – La giovinezza [Youth, Italia/Francia/Gran Bretagna/Svizzera 2015] REGIA Paolo Sorrentino.
CAST Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda.
SCENEGGIATURA Paolo Sorrentino. FOTOGRAFIA Luca Bigazzi. MUSICHE David Lang.
Drammatico, durata 118 minuti.