Non troveresti i confini dell’anima neppure percorrendo ogni strada, neppure nuotando nel lungo Fiume Giallo, tanta è la sua profondità
Datong, regione dello Shanxi, Cina. Bin e Quiao sono una coppia che gestisce attività illecite sullo sfondo di una città dall’economia in crisi, fino a quando Quiao finirà in carcere per aver salvato la vita a Bin. Dopo anni di reclusione, la donna uscirà senza trovare il suo uomo ad aspettarla: inizierà allora un viaggio fino a Fengjie, nella regione di Chongqing e delle Tre Gole, per ritrovare Bin e provare a riannodare i fili del loro rapporto.
Jia Zhang-ke è autore dallo stile inconfondibile, capace di scandagliare le anime dei suoi personaggi e di raccontare squarci di una Cina autentica e periferica (agli occhi di un occidentale). Come già nei suoi film precedenti, in particolare Still Life, Zhang-ke riesce a rendere tangibile l’immensità di un Paese contraddittorio e di un paesaggio naturale segnato irrimediabilmente dall’impatto antropico.
I figli del Fiume Giallo racconta la vicenda di una donna – interpretata da Zhao Tao, musa del regista – che trae linfa vitale da un sentimento inossidabile, che la guida in ogni azione a dispetto di qualunque difficoltà: Quiao ha tante domande e una sola possibile risposta, legata a Bin e alla sua sparizione. Zhang-ke adotta come sempre un respiro cadenzato, alternando inquadrature ampie dove i personaggi spariscono nello sfondo a momenti intimisti giocati, più che sui dialoghi, sugli sguardi e sui gesti degli attori. Il film segue, metaforicamente e non, il lento scorrere dell’immenso Fiume Giallo, le cui acque torbide rimandano a un’umanità che vive oltre la legalità, ancorata flebilmente a codici d’onore figli di un’epoca quasi scomparsa. La jianghu, la “mafia” cinese di cui fanno parte Bin e Quiao, ci sarà sempre finché esisteranno gli uomini, ma nella versione di Zhang-ke è una malavita spuntata e declinante, schiacciata da uno Stato assolutista che, per costruire una nuova diga, può radere al suolo una città trasferendo gli abitanti in un altro luogo. In questo affresco dominato da un’ineluttabile malinconia, resta la caparbietà di Quiao e del suo amore per Bin, ultimo baluardo in cui credere per sentirsi viva, pur sapendo che non l’attende né lieto fine, né – in un fugace bacio con uno sconosciuto in treno – una svolta nel destino.
Pur in un film dai troppi possibili finali, che tende ad avvolgersi su se stesso, Zhang-ke si conferma autore solido, impeccabile dal punto di vista stilistico (notevole il lavoro sulla fotografia), capace di portare avanti la propria visione della Cina e del suo popolo. I figli del Fiume Giallo è un’opera stratificata, che ha il pregio di inserirsi in un discorso unitario con i precedenti film del regista e allo stesso tempo il rischio di risultare ripetitiva, specchiandosi ancora una volta nel lato più oscuro della Grande Muraglia.
I figli del Fiume Giallo [Jiānghú érnü, Cina/Francia 2018] REGIA Jia Zhang-ke.
CAST Zhao Tao, Liao Fan, Xu Zheng, Casper Liang.
SCENEGGIATURA Jia Zhang-ke. FOTOGRAFIA Éric Gautier. MUSICHE Lim Giong.
Drammatico/sentimentale, durata 136 minuti.