SPECIALE STEPHEN KING
Things (not so stranger)
Il “nuovo” It di Andrés Muschietti è l’ennesimo tuffo nel passato del cinema hollywoodiano. Ed è – ormai da qualche tempo – il solito passato: il frutto di un bisogno, in qualche modo anche commerciale, di dover cavalcare l’onda della nuova estetica anni Ottanta.
Non che questa sia una cosa che uno non si aspetti, non che si resti insomma sorpresi o delusi o, peggio ancora, si sia prevenuti nei confronti di un prodotto che decide di ammiccare vistosamente a un certo modo di raccontare e mostrare l’orrore e il fantastico come lo si raccontava e lo si mostrava in quel periodo. Non è, infatti, certamente una novità. C’è però un grosso ma. Perché si può attuare un’operazione del genere in maniera estremamente intelligente o, dall’altra parte, cadere nella trappola messa lì appositamente per ricordare che non bisogna deludere le aspettative, che è una cosa sempre molto rischiosa per chi cerca di realizzare qualcosa di nuovo o quantomeno di stilisticamente stimolante. Viene in mente, in questo senso, la serie Stranger Things, che prende sì questa specie di scorciatoia (se così ci è concesso chiamarla), ma lo fa con un atteggiamento estremamente coscienzioso, nel senso che usa quel periodo, quei vezzi, quell’immaginario, per riversarci problemi, questioni, paure che abitano la nostra epoca più che quella vissuta dai quattro giovani protagonisti. Ecco, il problema di It sta proprio qua: la sensazione che si ha è di trovarsi di fronte a un prodotto che non voglia uscire dall’idea stereotipata che ormai ci siamo fatti di quegli anni Ottanta, non aggiungendo niente, non provando ad andare oltre la cortina che con buona probabilità separa lo scontato dal sorprendente. It è insomma solo ciò che ci saremmo aspettati di vedere: adolescenti cesellati con stanbymeiana sapienza e mostruosità e narrazioni che cercano di calcare un’idea di teen horror molto kinghiana e quindi poco innovativa. Sarebbe stato bello trovarvi anche qualcosa che avesse provato ad andare “oltre”. Detto questo, It è tuttavia un film discretamente godibile, per la notevole capacità di saper suggerire le paure attraverso creazioni visivamente e spaventosamente appaganti e soprattutto grazie a Pennywise, un mostro che funziona: molto meno tangibile di quello impersonato nei Novanta da Tim Curry, ma di sicuro più fantasticamente strutturato da una sorta di fisionomia quasi videoludica. Insomma, per farla breve, da questo It avremmo desiderato qualcosa di un poco più crudo e di un po’ meno cotto. Perché, come ci insegna King, le paure vanno sempre affrontate, anche con il rischio che possano portarci lontano dalla strada maestra: nell’atto creativo, come nella vita, solo una volta superate quelle è possibile pensare, fare e agire senza più condizionamento alcuno.
It [It: Chapter One, USA 2017] REGIA Andrés Muschietti.
CAST Jaeden Lieberher, Bill Skarsgård, Wyatt Oleff, Jeremy Ray, Sophia Lillis, Finn Wolfhard.
SCENEGGIATURA Chase Palmer, Cary Fukunaga, Gary Dauberman (tratta dall’omonimo romanzo di Stephen King). FOTOGRAFIA Chung-hoon Chung. MUSICHE Benjamin Wallfisch.
Horror, durata 135 minuti.