La notte (molto) brava della soldatessa Sofia
Non c’è quasi mai il giorno pieno in L’inganno, il nuovo film di Sofia Coppola. Ci sono albe e crepuscoli e molte brume, ci sono i controluce, ma il sole non sembra mai brillare a pieno.
È il modo molto intelligente e cinematografico con cui la regista utilizza la splendida fotografia di Philippe LeSourd per raccontare una storia di animali e prigionieri, di schiavi bianchi come specchio della schiavitù africana alla base della Guerra di secessione americana. Guerra civile che è lo sfondo del romanzo di Thomas Cullinan da cui è tratto il film (e il precedente La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel) e che racconta di un soldato nordista ferito gravemente il quale trova rifugio in un collegio femminile: la tensione politica con le ragazze ferventi sudiste si mescola con quella sessuale, il puritanesimo col desiderio. Una miscela che diventerà esplosiva. Coppola sceneggia un dramma sensuale vestito da film storico e thriller psicologico che attraverso l’utilizzo della luce e del colore racconta una storia stratificata, complessa, che racchiude temi e visioni di strettissima attualità. Guardando al romanzo più che a Siegel, prendendone la lettera ma rileggendone lo spirito, L’inganno è una miniatura degli Stati Uniti contemporanei raccontati attraverso conflitti ancestrali e irrisolti, che sono ancora al centro del discorso: la divisione di una società ancora razziale (e ironicamente la questione razziale non vede la presenza di neri a discutere) in cui i compartimenti stagni, le classi, le barriere ideologiche oggi più che mai rigurgitanti sono raccontate attraverso la forma, in cui i muri fisici che danno forma a mura intellettuali e culturali prendono le sembianze dei luoghi e degli spazi filmici del film. Perché Coppola torna in un certo senso al Giardino delle vergini suicide nei rapporti tra i personaggi, ma visualizza elementi che fanno parte di tutto il suo cinema: l’estraniamento dal mondo, la scelta più o meno consapevole di una vita autarchica in cui l’estraneo è un nemico o un pericolo o un enigma, nel migliore dei casi. È questa la schiavitù contemporanea ed esistenziale di cui parla L’inganno e Coppola, all’apice della tensione e compattezza formale, la mette in scena problematizzando una volta di più la questione di genere e di potere sessuale che è soprattutto una questione di sguardo: basterebbe vedere le traiettorie della regia nelle scene di gruppo per avere la certezza di una regista giunta a completa maturazione, che abbandona vezzi e manierismi per dare spessore ai propri momenti, alle proprie marche dando alla cura pittorica dell’immagine un’inquietudine sottile e persistente. In poche parole, il suo film più bello.
L’inganno [The Beguiled, USA 2017] REGIA Sofia Coppola.
CAST Nicole Kidman, Colin Farrell, Kirsten Dunst, Elle Fanning.
SCENEGGIATURA Sofia Coppola (tratta dal romanzo A Painted Devil di Thomas P. Cullinan). FOTOGRAFIA Philippe LeSourd. MUSICHE Phoenix, Laura Karpman.
Drammatico, durata 93 minuti.
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