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La memoria dell’acqua racconta il genocidio, fisico e culturale, dei popoli indigeni che per millenni hanno vissuto in Patagonia e il massacro degli oppositori politici del regime guidato dal Generale Pinochet, i cui corpi erano legati a una rotaia e gettati in mare aperto.
A unire le due tracce c’è, ovviamente, la violenza di cui è satura la storia del Cile, ma anche altri elementi che arricchiscono il mosaico con tasselli di antropologia filmata e cosmologia. C’è l’acqua, elemento di vita e figura materna per gli indios e sarcofago per le persone sgradite al regime, c’è lo spazio e i corpi celesti, pieni d’acqua e forse di forme di vita a noi simili, e c’è il bottone di madreperla, presente in entrambe le storie. Un bottone che fu oggetto di scambio tra un indigeno e uno dei primi marinai occidentali ad avvicinarsi a Capo Horn. In cambio del bottone, l’aborigeno accettò di visitare Londra e si ritrovò così a viaggiare diversi millenni nel futuro. Un diverso bottone è stato trovato in fondo al mare, incastrato nelle incrostazioni rugginose di una rotaia. Esso è l’unica prova tangibile dei crimini commessi molti anni prima dal regime cileno. Sono due storie lontanissime sia in senso temporale che spaziale (è proprio Guzmán a ricordarci che il Cile è lungo 4000 chilometri) eppure la narrativa impostata dal regista cileno è sorprendentemente coerente e solida. I problemi sono affrontati con un piglio poetico, addirittura fantascientifico in alcune sequenze, ma il discorso avanza con la semplicità di un meccanismo ben congegnato. Patricio Guzmán cura personalmente il voice over del suo documentario, che cerca di toccare la verità profonda delle cose e, quindi, non ha nulla di scolastico. Lo stile è vicino all’ultimo Herzog ma anche lontanissimo perché più politico e rigoroso. Guzmán tende meno alla divagazione confusionaria ed è più propenso a rimanere dietro la telecamera. In La memoria dell’acqua ci sono tante tracce diverse ed è difficile dire quale sia la più importante. Forse non tutti i temi sono analizzati col rigore dello storico/antropologo, ma lo accettiamo perché Patricio Guzmán vuole parlare del suo Paese, il Cile, e quindi ha la necessità di compendiare le sue intuizioni in un documento di ottanta minuti, tenendosi alla larga dal didascalismo scientifico del documentario televisivo. Lirico ed etereo grazie alla grande qualità estetica delle immagini, eppure crudo e contingentato, l’ultimo documentario di Patricio Guzmán ripropone i temi a lui cari ma li narrativizza in maniera originale e sorprendentemente efficace.
La memoria dell’acqua [El botón de nácar, Cile/Francia/Spagna 2015] REGIA Patricio Guzmán.
SCENEGGIATURA Patricio Guzmán. FOTOGRAFIA Katell Djian. MUSICHE José Miguel Tobar, Miguel Miranda. MONTAGGIO Emmanuelle Joly.
Documentario, durata 82 minuti.