Il lato oscuro dei sentimenti
Il cinema di Sergio Rubini regista è da sempre stabile nel territorio della medietà, saltando dal medio basso dei film peggiori (Colpo D’Occhio) al medio alto dei film più riusciti e interessanti (La Terra). Quest’ultima fatica, dal titolo che richiama un’espressione per nove persone su dieci causa di sudori freddi e timori incontrollati, rientra nella seconda categoria; è un film che nel complesso funziona, nonostante non manchino ingenuità più o meno gravi (da matita rossa l’inutile e ridondante voce off del pesce rosso, che pregiudica anche il finale; più passabili, per esempio, le superflue carrellate su Roma ad uso e consumo della Film Commission).
Può essere anche vero che il regista pugliese non si allontani molto dagli orizzonti romano e “piccoloborgheseccentrici” di un certo tipo di cinema italiano, e che non ci sia verso i comportamenti peggiori dei quattro duellanti la cattiveria che era lecito aspettarsi, ma, a differenza dell’abbastanza evidente – senza che però il film sia banalmente derivativo – modello del massacro polanskiano, Rubini accantona la critica sociale e culturale e il sarcasmo affilato per concentrarsi quasi esclusivamente sugli effetti collaterali dei sentimenti, sugli inevitabili piccoli egoismi, le repressioni e le piccole bugie che (inevitabilmente) condizionano anche i rapporti più sinceri e gli affetti più sentiti. Un film ferocemente intimista quindi, capace di trasmettere un’efficace e sconsolata amarezza di fondo che a tratti sfiora la cupezza. È questo il vero punto di forza del film, che giustifica anche la dose all’apparenza insufficiente di cattiveria: i quattro personaggi sono infatti visti, in un certo senso, come vittime e sono fotografati nelle loro devastanti solitudini ed insoddisfazioni e nelle loro letali incomprensioni reciproche, e per questo motivo è inevitabile una certa “pietas”. Non a caso, la parte che funziona un po’ meno è la rappresentazione dell’appartenenza politica delle due coppie, troppo accennata e per questo troppo vicina al luogo comune stereotipato. Il merito della discreta riuscita di Dobbiamo parlare è della solidità della sceneggiatura, capace di gestire l’equilibrio tra il comico e il drammatico, di delineare personaggi credibili e compatti – anche nel loro essere stereotipati – e di creare dialoghi veloci e taglienti. Fondamentali anche i quattro interpreti, tutti in forma (nonostante il pur bravo Bentivoglio non sia esattamente a suo agio nel parlare romanesco), con menzione d’onore a Maria Pia Calzone, la migliore. Il Rubini regista si limita a gestire il traffico dei dialoghi, delle ripicche e delle recriminazioni con mestiere e professionalità, mentre sbanda quelle poche volte che cerca di dare un’impronta stilistica più evidente (i movimenti di macchina con cui il film si apre e si chiude). È quasi inevitabile, come nella vita di tutti i giorni, provare verso i personaggi prima disprezzo e fastidio, e un battito di ciglia dopo vicinanza e affetto.
Dobbiamo parlare [Italia 2015] REGIA Sergio Rubini.
CAST Isabella Aragonese, Sergio Rubini, Maria Pia Calzone, Fabrizio Bentivoglio, Antonio Albanese (voce over).
SCENEGGIATURA Carla Cavalluzzi, Diego De Silva, Sergio Rubini. FOTOGRAFIA Vincenzo Carpineta. MUSICHE Michele Fazio.
Commedia/Drammatico, durata 98 minuti.