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L’albero dei frutti selvatici

sabato 27 Ottobre, 2018 | di Luca Giagnorio
L’albero dei frutti selvatici
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Derelitto impero d’Oriente
Sinan, neolaureato in scienze della formazione, torna alla cittadina natale sulle colline della Turchia occidentale: ha appena scritto un libro sulla vita nelle campagne che vorrebbe pubblicare e il concorso per diventare insegnante lo aspetta all’orizzonte, ma l’arrivo nella casa dei genitori e nella realtà provinciale e tradizionalista da cui era fuggito, cambierà (forse) il corso della sua vita.

Dopo i premiati C’era una volta in Anatolia e Il regno d’inverno – Winter Sleep, Nuri Bilge Ceylan si conferma un autore dallo stile inconfondibile, che pretende molto da se stesso e dagli spettatori mettendo in scena un film di tre ore quasi esclusivamente parlato in cui affronta – a seconda dei personaggi che incontra il protagonista – tutti i temi dello scibile. mediacritica_l_albero_dei_frutti_selvatici_290Seguiamo così Sinan nel rapporto conflittuale con il padre, professore e ludopatico, che ha indebitato la famiglia scommettendo sui cavalli; lo vediamo confrontarsi sulla condizione delle giovani donne, con una ex compagna di scuola che rinuncerà alla sua libertà sposandosi per convenienza pur di lasciare la città natale, e discutere di religione con due imam, nella Turchia di nuovo orgogliosamente musulmana. Si parla di crisi economica, con i giovani laureati costretti a entrare in polizia perché “assumono e ti pagano bene”, di conflitti generazionali, squilibri sociali e della vituperata categoria degli insegnanti (tutto il mondo è paese), che guadagnano una miseria e con i primi incarichi vengono mandati nelle pericolose zone di confine. Ceylan affronta questa moltitudine di temi seguendo i suoi attori ora con lunghi piani sequenza ora con più classici campi e controcampi, e – pur con qualche forzatura e lungaggine evitabile – riesce a catturare l’attenzione dello spettatore, soprattutto grazie alla riuscita caratterizzazione del protagonista, un bastian contrario, presuntuoso ed egocentrico, che disprezza il mondo da cui proviene (e a cui suo malgrado ritorna), ma allo stesso tempo rifiuta di piegarsi alle prassi di un Paese chiuso e bloccato su stesso, in cui ti pubblicano un libro solo se può essere sfruttato a fini turistici, in cui la miseria incombe su tutte le famiglie e la maggior parte dei giovani vive alla giornata senza alcuna prospettiva. In questo affresco del presente lucido e realistico, in questo film fiume che scorre lento e ogni tanto si piega su se stesso, le scene migliori sono quelle dove prevale il simbolismo (i sogni quasi sempre pervasi di morte di Sinan) e quelle in cui si evolve il rapporto padre-figlio: due caratteri opposti e inconciliabili, ma al tempo stesso due anime simili nell’essere ostinatamente controcorrente, nell’accettare la solitudine come unica condizione possibile in cui vivere liberamente, leggendo libri che nessuno legge, scavando pozzi dove non c’è acqua.

L’albero dei frutti selvatici [Ahlat Agaci, Turchia/Francia 2018] REGIA Nuri Bilge Ceylan.
CAST Dogu Demirkol, Murat Cemcir, Bennu Yildirimlar, Asena Keskinci.
SCENEGGIATURA Nuri Bilge Ceylan, Ebru Ceylan, Akin Aksu. FOTOGRAFIA Gökhan Tiryaki. MONTAGGIO Nuri Bilge Ceylan.
Drammatico, durata 188 minuti.

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