Una strada accidentata
La Route Irish, la strada che collega l’aeroporto di Baghdad al centro della città e che dà il titolo originale all’ultimo lungometraggio del prolifico Ken Loach, è la via più pericolosa del mondo.
E, con i dovuti distinguo, è molto rischioso anche il percorso battuto dal regista britannico, fin dai suoi esordi dietro la macchina da presa.
Intestardirsi pervicacemente nel fare un cinema d’impegno e di denuncia, utilizzando gli strumenti della fiction, mentre il panorama internazionale scopre, nel documentario, voci molto più efficaci, non dev’essere semplice. A trattare, poi, temi già visti e ascoltati, come in questo L’altra verità, si rischia di annegare anche le migliori intenzioni sotto un’impenetrabile coperta di disinteresse. Di film sull’Iraq, sulle torture dei prigionieri, sulle atrocità compiute dagli “esportatori di democrazia”, sull’interesse economico che come un caterpillar se ne frega di diritti e giustizie, in particolar modo se si tratta del sud del mondo, bè, negli ultimi anni ne abbiamo visti in quantità.
Loach prende due amici di Liverpool, che a suo tempo scelsero di fare i contractor in Iraq per garantirsi diecimila sterline al mese esentasse, ne fa morire uno in circostanze controverse, e libera nell’altro mostruosi sensi di colpa e sete di vendetta. Una trama lineare e inevitabilmente prevedibile, che, come spesso accade nella cinematografia di Loach, trae la propria forza più dalla chirurgica freddezza dello stile che dalla potenza del racconto. L’altra verità è un thriller che, a tratti, ricorda quei film americani dove l’eroe solitario è in lotta contro il mondo: si affida a quei meccanismi per costruire il ritmo, ma, allo stesso tempo, è bene attento a sottolineare la cornice europea dell’ambientazione. Niente effetti speciali o improbabili scene spionistiche: Fergus si districa, nella sua investigazione, tra conversazioni via webcam e video di telefonini, in una riflessione sull’immagine frammentata e confusa della guerra già condotta da altri autori (pensiamo solo al De Palma di Redacted).
Un’immagine dubbia e ambivalente, che non ci concede la certezza di nulla. La vendetta non pone rimedio, ma questo lo sapevamo già. Loach si muove in un terreno accidentato, dove la sua denuncia più forte – il sacrificio finale di Fergus, quel tentativo ultimo di uccidere le radici stesse dell’odio che ci portiamo dentro – corre il rischio di passare inosservata. Vale la pena, allora, scegliere una strada meno impervia e non costellata di trappole? Non per essere retorici, ma la risposta è no: L’altra verità non sarà il miglior Loach degli ultimi tempi, ma un cinema civile è, oggi più che mai, ancora necessario; così come, certe verità, è meglio ripeterle due volte, piuttosto che tacerle.