Non vedo, non sento, non parlo
Diceva il poeta siciliano Gesualdo Bufalino: “La mafia sarà distrutta da un esercito di maestre elementari”. La rivoluzione si inizia dal basso, con l’unione di ceti sociali insospettabili e soprattutto rifondando il modo di vedere le cose da zero, ristabilendo per le nuove generazioni un senso di realtà e oggettività distorto da ataviche convenzioni collettive.
Il nuovo film di Giulio Manfredonia sembra un ricalco fin troppo pedissequo di Si può fare, commedia del 2008 in cui lo stesso regista romano affrontava la tematica della cooperativa e di un gruppo di emarginati guidati da un volenteroso capopopolo. Al posto della folta schiera dei pazienti di manicomio e della Legge Basaglia, in La nostra terra ci sono gli outsider del Sud Italia e la Legge 109 sul riutilizzo dei beni confiscati alla mafia. Quali sono gli outsider del Sud? La coppia gay, il nero bistrattato, la naturopata invasata, il paralitico e lo psicotico: un campionario di stereotipi assortiti guidato dal campione di legalità Stefano Accorsi/Filippo Gentile. Nomen omen, Filippo è un uomo benevolo e cordiale abituato al lavoro di scrivania, che verrà spedito in Puglia per dare una mano alla nascente associazione di volontariato Legalità e Futuro. Con il tocco lieve della favola etica, per buona parte della sua durata la pellicola – pur affrontando questioni spinose quali l’omertà e le infrangibili connivenze fra chi le regole dovrebbe applicarle e chi puntualmente le infrange – si mantiene sulla tonalità della commedia buonista e persino stucchevole, nelle sue evitabili pieghe romantiche. Il livello dello scontro si eleva con l’ingresso in scena dell’antagonista Nicola Sansone, boss locale “gentiluomo” costretto ai domiciliari, che non accetta che i terreni una volta suoi gli vengano sottratti. Per raggiungere il proprio nobile obiettivo didattico, la sceneggiatura costringe i caratteri alla superficialità e al facile inquadramento, fatta eccezione per il fattore Cosimo interpretato da un eccezionale Sergio Rubini. È nel suo sguardo e nella sua sincerità che prende forma la tensione fra un mondo immutabile e spaventato dalla possibilità del cambiamento e l’idea utopica di una ribellione che spazzi la logica del “non vedo, non sento, non parlo”. Secondo Manfredonia, La nostra terra è “un tipo di racconto che ha un’urgenza tale da giustificare il fatto che sia realizzato”. Certo, ma giustifica anche il modo in cui è stato girato? La didascalia perfetta per essere proiettata nelle scuole – intento encomiabile – è adatta parimenti per essere distribuita in sala? O è meglio affidarsi alla pur irrisolta velleità artistica di Pif e del suo La mafia uccide solo d’estate? Forse l’importante è che se ne parli, magari cercando anche di rendere l’argomento appetibile e digeribile per chi guarda.
La nostra terra [Italia 2014] REGIA Giulio Manfredonia.
CAST Sergio Rubini, Stefano Accorsi, Maria Rosaria Russo, Iaia Forte, Bebo Storti.
SCENEGGIATURA Fabio Bonifacci, Giulio Manfredonia. FOTOGRAFIA Marcello Montarsi. MUSICHE Mauro Pagani.
Commedia/Drammatico, durata 100 minuti.