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Ti guardo

sabato 23 Gennaio, 2016 | di Erasmo De Meo
Ti guardo
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Distanze incolmabili
È una strana sensazione quella che pervade lo spettatore di Ti guardo, lungometraggio d’esordio del venezuelano Lorenzo Vigas, premiato a Venezia col Leone d’Oro. Una vittoria simile è come una lente colorata messa davanti agli occhi, crea aspettativa, disposizione estetica, ricerca, e questo può esaltare un film o ridimensionarlo, svelando dietro la fruizione più disinteressata la sterminata pienezza dell’arte o una fragilità pronta a sciogliersi in uno stupefacente vuoto.

Nel primo caso si chiede allo spettatore di addentrarsi e districarsi in qualcosa di denso e polisemantico per trarre uno dei possibili fili d’interpretazione, nel secondo lo spettatore ha come tanti strumenti e materiali da cui ci si aspetta di poter tirare su una struttura razionale e stabile, da cui trarre un sufficiente godimento artistico. Desde allá sembra far parte di questo secondo gruppo. Il film è oggettivamente statico, compassato, piegato su se stesso,mediacritica_ti_guardo_290 visibilmente impegnato a creare situazioni e forma, ostinato a cogliere dialoghi invisibili e pensieri nelle sequenze silenziose e fisse. Qua e là non è impossibile provare quella vertigine del vuoto che qualcuno può chiamare noia. Ma rimettiamo tutto in gioco, assumiamoci il ruolo che Vigas, come detto, chiede allo spettatore. Il mondo di Armando è piccolissimo, oltre al laboratorio dove costruisce protesi dentarie e al suo appartamento basso e scuro non sembra esserci molto altro. Guadagna bene e per esorcizzare il quotidiano monotono e solitario paga giovani ragazzi di strada per togliersi la maglietta e abbassarsi i pantaloni, ma soltanto fino ad un certo punto, non del tutto. Questa parzialità è lo spioncino giusto da cui guardare al film. I titoli, originale e italiano, parlano di una distanza: Ti guardo e non Ti tocco, Da lì (traduzione letterale di Desde allá) e quindi da lontano, da luoghi diversi e mai Insieme, né a livello spaziale, né a livello affettivo. Tra Armando ed Elder c’è uno stacco netto, anagrafico e sociale, un limite ben definito e invalicabile, che sa di ruoli autoimposti e di paura, di incapacità umana: contenitori chiusi ermeticamente in cui nulla entra e da cui nulla esce, esseri ridotti a dure superfici tra due vuoti. Su limiti, distanze e incapacità Vigas si gioca tutta la sua espressività visiva. Tra i due personaggi vi sono sempre ostacoli, separazioni, che tagliano in due lo schermo. La profondità di campo è strettissima sul personaggio, tutto ciò che lo circonda è indistinto, incomprensibile, irrilevante: solo quando due personaggi si trovano entrambi a fuoco c’è relazione, scontro vero. Armando e Elder, nella parabola emotiva che li lega, si fanno coscienti di questa distanza, si esplorano e conoscono, ma ogni qualvolta la distanza si fa vicinanza e come tra due poli opposti scattano scintille, scosse di rabbia, violenza, negazione, come il tradimento finale che riconduce il loro rapporto all’utilitarismo tra diversi. Facendo crollare l’impalcatura di materiale ce n’è tanto e ricostruire, vedere con soddisfazione oltre le lenti colorate, è possibile: la mano di Vigas è solo acerba ma non vuota.

Ti guardo [Desde allá, Venezuela/Messico 2015] REGIA Lorenzo Vigas.
CAST Alfredo Castro, Luis Silva, Jericò Montilla, Catherina Cardozo.
SCENEGGIATURA Guilliermo Arriaga, Lorenzo Vigas. FOTOGRAFIA Sergio Armstrong. MUSICHE Waldir Xavier.
Drammatico, durata 93 minuti.

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