I tredici samurai
Takashi Miike è un regista sorprendente. Ha esordito nel 1992 e, ad oggi, ha all’attivo circa ottanta lavori, tra cinema, home video e tv. Takashi Miike è un autore cult per Tarantino, Eli Roth e i numerosi adepti dello splatter. Takashi Miike ha diretto il film di Yattaman. Takashi Miike, ha presentato alla 67a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, oltre a 13 assassini, Zebraman 2. Vestito da Zebraman.
Ed ecco il fatto più sorprendente: il regista noto ai cultori d’occidente per i suoi yakuza movie, le sue esplosioni gore e le sue caratteristiche inquadrature inondate di sangue, è capace di realizzare un film come 13 assassini, un omaggio lineare ed essenziale ai grandi capolavori della cinematografia giapponese. La messa in scena della violenza è comunque centrale anche in questo tipico jidai geki (film di samurai), remake del classico di Kudo Eichii del 1963: Naritsugu è un crudele signore feudale, sadico e senza limiti, fratello dello shogun e, per questo, intoccabile. Gli si oppone Shinzaemon, un samurai coraggioso e onorevole, incaricato di ucciderlo, che mette insieme un gruppo di letali guerrieri e, con loro, va incontro a Naritsugu. E alla morte. La prima parte di 13 assassini si appoggia alle collaudate strutture del genere: l’accettazione della missione, il reclutamento, il viaggio. Qualcuno l’ha trovata lenta, abituato ai frenetici ritmi di Miike, ma la lunga introduzione dà modo al regista di comporre quadri limpidi e stilizzati, di richiamare alla memoria i maestri Kurosawa, Ozu, Mizoguchi, di mostrare la propria abilità dietro la macchina da presa, a proprio agio tra piani sequenza e tempi avvolgenti. Il secondo capitolo è una lunga battaglia. Che sembra non finire mai e, allo stesso tempo, non annoia: enormemente spettacolare, perché rinchiusa in uno spazio finito (il piccolo villaggio rurale dove i tredici guerrieri affrontano l’esercito di Naritsugo) che si trasforma senza sosta, mutevole trappola mortale, tra milioni di spade, bufali infuocati, griglie appuntite che compaiono dal nulla. È un Miike che non ti aspetti, ma che stupisce, ancora una volta. Riflette sul potere e sull’onore (a ben guardare, è Shinzaemon il traditore: nel Giappone feudale il vero samurai serviva il proprio signore fino alla morte) e non rinuncia alla sua tradizionale ironia. In un film che quasi non sembra di Miike, Miike fa capolino più volte, dall’inquadratura raccapricciante di una donna mutilata al personaggio del brigante Koyata, fiero, ribelle, senza paura. E consegna un film elegante, intenso e avventuroso, come un western d’altri tempi. Così che, forse, lo inviteranno ancora a Venezia e a Cannes, nei salotti buoni del cinema, dove lo splatter e il gore faticano ad essere guardati con benevolenza. E dove si presenterà, probabilmente, vestito da Zebraman.
13 assassini [Jusan-nin no shikaku, Giappone/Gran Bretagna 2010] REGIA Takashi Miike.
CAST Koji Yakusho, Takayuki Yamada, Masachika Ichimura, Ikki Sawamura.
SCENEGGIATURA Kaneo Ikegami, Daisuke Tengan. FOTOGRAFIA Nobuyasu Kita. MUSICHE Koji Endo.
Azione/Avventura, durata 125 minuti.
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