L’illusione è un’arma a doppio taglio
L’illusione è soltanto una gabbia da cui scappare o è anche un possibile strumento di libertà? È proprio su tale quesito che s’interroga il sesto lungometraggio di Xavier Giannoli, Marguerite, presentato in concorso alla 72a Mostra del Cinema di Venezia.
Il film è ambientato nella Francia degli anni ’20 e vede come protagonista Marguerite, un’aristocratica appassionata di opera lirica che pensa, erroneamente, di avere delle buone doti canore. Un’illusione che nessuno ha il coraggio di sfatare, ma che anzi viene alimentata e portata avanti fino alla preparazione di un vero e proprio spettacolo in un teatro aperto al pubblico. Risulta evidente fin dall’inizio quanto l’opera di Giannoli sia debitrice a Viale del tramonto di Billy Wilder, con cui ha diverse somiglianze, a cominciare dalla protagonista: come Norma Desmond, Marguerite vive rinchiusa nella sua villa illudendosi non solo di essere brava, ma anche e soprattutto di essere veramente ammirata. Un inganno che non deriva soltanto dai suoi sogni e dalla sua solitudine (vive con un marito freddo e distante), ma anche dalle azioni del suo maggiordomo, che non casualmente si comporta quasi come lo Stroheim del capolavoro di Wilder. E paradossalmente l’alienazione di Marguerite è persino meno fondata di quella di Norma: se quest’ultima in gioventù è stata una grande diva, Marguerite non ha mai avuto nessun talento musicale né alcun effettivo successo. Ma anche se la sua illusione la imprigiona e non le permette di scoprire nuove strade e nuovi modi per esprimere il suo amore per la musica, allo stesso tempo risulta la sua unica fonte di evasione da una quotidianità monotona e da un rapporto coniugale spento. Giannoli riflette così in modo amaro ma non del tutto negativo sull’ambivalenza dell’illusione, e su quanto questa sia un’arma a doppio taglio: può far male se portata avanti eccessivamente e per troppo tempo, ma può anche essere l’unico mezzo che permette di vivere. Forse è proprio per questo che il taglio formale del film non è cupo e sordido come quello di Wilder, ma al contrario più leggero e ironico, attento soprattutto a una fedele ricostruzione storica e a una certa gradevolezza di fondo. Un’operazione complessivamente riuscita, ma che difetta di quello slancio e di quell’energia in più che un soggetto del genere avrebbe richiesto. Una mancanza causata sia da una regia dal ritmo altalenante sia da una sceneggiatura con poco brio e a tratti dispersiva, nella quale alcuni personaggi (la giovane soprano e il critico musicale) compaiono e scompaiono in modo troppo repentino e poco motivato. Tutti elementi che fanno di Marguerite un tipico film medio, ben confezionato ma mai realmente incisivo.
Marguerite [id., Francia/Repubblica Ceca/Belgio 2015] REGIA Xavier Giannoli.
CAST Catherine Frot, André Marcon, Michel Fau, Christa Théret, Denis Mpunga.
SCENEGGIATURA Xavier Giannoli, Marcia Romano. FOTOGRAFIA Glynn Speeckaert. MUSICHE Ronan Maillard.
Commedia/Drammatico, durata 127 minuti.