SPECIALE CINEMA DELLA SCHIAVITÙ
The Big Shame
L’incredibile storia vera di Solomon Northup, cittadino libero dello stato di New York rapito nel 1841 e venduto come schiavo. Un’odissea d’indicibile sofferenza, durata appunto dodici anni, resa ancora più insopportabile dalla condizione di libertà precedente: strappato alla famiglia, prigioniero in un inferno le cui fiamme sono nascoste dai campi di cotone, Solomon dovrà fingere di essere qualcun altro, di non saper leggere e scrivere, di imporsi una mansuetudine silenziosa e remissiva come unica possibilità di sopravvivenza.
L’opera terza del regista londinese Steve McQueen è un drammatico viaggio nel profondo di una delle più grandi tragedie compiute dall’uomo bianco, talmente sconvolgente da richiamare alla mente i campi di sterminio nazisti. Uomini che si fanno proprietari di altri uomini, leggendo i testi sacri s’incoronano arbitri dei destini altrui, degradano – in base al colore della pelle – dei propri simili al ruolo di bestie da soma. Gli occhi di Solomon dovranno abituarsi a sfruttamento, violenze, frustrate; la sua schiena diventerà un crogiuolo di cicatrici; la sua anima sarà per sempre cambiata, provata dalle atrocità viste e subite, e portatrice di qualcosa di simile al senso di colpa (il medesimo che attanaglia Primo Levi ne I sommersi e i salvati), nascosto eppure palpabile dietro alle parole rivolte da Solomon ai familiari nell’intensa scena finale. McQueen è abile nel mettersi al completo servizio della storia, rinunciando in buona parte ai virtuosismi registici che caratterizzavano le due notevoli (e, va detto, più interessanti) opere precedenti Hunger e Shame, riuscendo però a non scivolare in inutili didascalismi. Lo sguardo è quello del regista maturo in grado di orchestrare una messa in scena classica senza sacrificare la propria presenza autoriale: ecco i corpi straziati dalla fatica e dalle torture, i volti, gli sguardi, predominare sulle parole. McQueen racconta essenzialmente per immagini, ci fa udire respiri, singhiozzi, gemiti e urla dei suoi personaggi, e i dialoghi, spesso ridotti all’essenziale, acquistano maggiore forza. Il racconto è privo di cali di tensione, ma mai affrettato, i tempi si dilatano nei momenti giusti. Le scene di violenza, crude e necessarie, non cadono nel tranello dell’autocompiacimento, né scivolano in modo superficiale in un pietismo retorico. Fin da subito 12 anni schiavo è stato il film da battere agli Oscar 2014, in virtù del suo ottimo equilibrio complessivo che, oltre all’impeccabile regia, alla forza emotiva della storia di Solomon e alla sempiterna importanza del tema raccontato, può contare su un cast importante in cui svettano un animalesco Michael Fassbender e, in una prova generosa e impegnativa, Chiwetel Ejiofor (Piccoli affari sporchi, Redbelt) al ruolo più importante della carriera.
12 anni schiavo [12 Years a Slave, USA/Gran Bretagna 2013] REGIA Steve McQueen.
CAST Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Lupita Nyong’o, Benedict Cumberbatch.
SCENEGGIATURA John Ridley (tratta dal romanzo autobiografico di Solomon Northup). FOTOGRAFIA Sean Bobbitt. MUSICHE Hans Zimmer.
Drammatico/Biografico, durata 134 minuti.